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Londra, De' Manzoni: il terrorismo in tv alza il prezzo della libertà

Il killer che inneggia al jihad acquista in (malvagia) umanità e può generare emulazione. Ma la censura sarebbe peggio

Giulio Bucchi
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  Come hanno sottolineato Andrea Morigi su Libero e un anonimo editoriale sul Foglio, c'è un impressionante salto di qualità nella propaganda del terrorismo islamico trasmessa attraverso quell'allucinante sorta di «conferenza stampa horror» messa in scena dai due attentatori di Londra. Due killer che - le mani lorde  di sangue e il cadavere della loro vittima decapitata a pochi metri di distanza – si mettono a spiegare il loro efferato delitto ai passanti, e soprattutto alle telecamere accorse sulla scena prima della polizia, è un terribile show al quale nessuno aveva ancora assistito. Non che in questi ultimi anni ci sia stato risparmiato alcunché: tra sgozzamenti ripresi  in primo piano, aerei usati come bombe contro i grattacieli, ordigni che esplodono tra la folla, ogni tipo di orrore è entrato nelle nostre case attraverso il televisore. Tuttavia la rivendicazione in diretta, sul luogo stesso della mattanza, è una novità assoluta, sulle cui conseguenze vale la pena di soffermarsi, per valutarle e, se possibile, trovare gli antidoti a un pericolo forse non immediatamente percepibile, ma proprio per questo potenzialmente insidiosissimo. Sia Morigi che il collega del Foglio hanno ben fotografato la tremenda efficacia del messaggio nel suo doppio senso: incutere paura a noi occidentali, individuati tutti come nemici e quindi possibili prossimi bersagli di analoga furia omicida da parte dell'immigrato che ci passa accanto, e galvanizzare, suscitando un desiderio di emulazione per gli «eroi» spavaldi e trionfanti sugli infedeli, altri giovani mussulmani già indottrinati o magari solo arrabbiati. Sul giornale di Giuliano Ferrara ci si è spinti fino al paragone con i comunicati delle Brigate rosse, ponendosi l'interrogativo sull'opportunità stessa di mandare in onda simili immagini. Premesso che a mio parere va esclusa qualsiasi forma di autocensura o di censura (difficilmente attuabile in concreto, peraltro), vorrei però sottoporre all'attenzione dei lettori un ulteriore aspetto. E cioè l'effetto che questo surreale «intermezzo post-assassinio» rischia di avere su di noi, o almeno su alcuni di noi, al di là della paura, dello sdegno o del disgusto: una sorta di demostrificazione dei mostri. Mi spiego meglio. Negli allucinanti video, postati su internet o trasmessi da Al Jazeera, in cui sciamannati urlanti, quasi sempre incappucciati, ci buttano addosso le loro parole farneticanti prima di sgozzare un occidentale rapito, non si può rintracciare nessun segno di umanità: vediamo appunto degli alieni odiosi compiere un'azione odiosa e li odiamo per questo. Nessun problema, nessuna complicazione nei nostri sentimenti. Nei filmati postumi dei kamikaze, scorgiamo solo fanatismo, indottrinamento, propaganda: nello schermo ci sono  automi, non uomini o donne in carne ed ossa. Ordigni che ripetono meccanicamente la lezione di morte mandata a memoria. Nel caso dei due assassini di Londra, invece, c'è uno scarto. Le belve non si scagliano  contro chiunque capiti loro a tiro: abbattono la loro preda designata, poi si mettono a parlare con alcune donne, chiedendo scusa per il brutto «spettacolo» a cui le hanno costrette, spiegando che però le musulmane nelle loro terre assistono quotidianamente ad analoghi orrori e per colpa di gente come quel soldato che hanno appena ucciso. In noi che guardiamo e ascoltiamo, quelle mani insanguinate, quelle armi, quelle frasi di guerra («Occhio per occhio, dente per dente: non sarete mai al sicuro») continuano a suscitare orrore, ripulsa, senso di ribellione. Ma non c'è dubbio che abbiamo la percezione di trovarci di fronte a degli uomini. Uomini malvagi, uomini spregevoli, ma non mostri, non marionette. Persone malvagie che tuttavia interagiscono con noi, ci parlano e quindi riescono a far arrivare il loro messaggio. Un messaggio aberrante, naturalmente da respingere. E che però, forse per la prima volta, ascoltiamo perché supera la barriera creata dalle urla mostruose o dalla ripetizione pappagallesca di formule vuote, che ci rendevano sostanzialmente (e felicemente) sordi. Qui sta il rischio. In un Paese dove lo slogan «dieci, cento, mille Nassiriya» è stato scandito in manifestazioni autorizzate e scritto su muri, blog, perfino giornali, quanta presa potranno fare quelle parole? In un Paese dove Preiti, l'uomo che ha sparato al brigadiere Giangrande, ha ricevuto parole giustificatorie tra altissime cariche dello Stato e dove persino il picconatore Kabobo ha trovato chi si è indignato al solo pensiero che potesse essergli torto un capello per impedirgli la strage, in un Paese così che effetto potrà avere l'evocazione dei poveri bambini musulmani che vengono uccisi tutti i giorni dai cattivi occidentali? Ripeto: la censura non è la soluzione. Ciò non toglie che questa nuova forma di propaganda contenga in sé un eccezionale grado di pericolosità, un cerino gettato nella benzina della rabbia creata dalla crisi mondiale. Ancora una volta, dopo Londra il prezzo della nostra libertà è aumentato. di Massimo de' Manzoni    

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