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Il governo si svegliae tiene qui i marò ma il danno è fatto

Terzi: "Delhi ha violato il diritto internazionale". Però non si cancellano 390 giorno di inganni (loro) e umiliazioni (nostre)

Lucia Esposito
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  Tardi sarà anche meglio che mai, almeno per le due vittime del pasticcio antipirateria in India, ma non basta a sanare la ferita della credibilità italiana deturpata. Perché il governo di Mario Monti in stato di coma, solo oggi scopre che alla prepotenza del governo indiano si può rispondere? Perché ora e non subito, quando consentì l'arresto a bordo di una nave italiana? Perché non a Natale, quando per quindici giorni in patria si pagò anche cauzione milionaria? Avremo delle risposte dovute? Massimiliano Latorre e Salvatore Girone 390 giorni fa furono sequestrati con l'inganno dalle autorità indiane, su mandato del tribunale del Kerala, Stato assai amico dei pirati, con l'accusa di aver ucciso a colpi di fucile due pescatori dal ponte della petroliera italiana Enrica Lexie, sulla quale erano imbarcati con il compito di fare da scorta antipirateria. I colpevolisti di sinistra di casa nostra, ad esempio un preoccupato Tg3 delle 19 di ieri, i liberal dell'Unione Europea capitanati dal commissario Ashton, uno così informata che li definì «contractors», mercenerari, farebbero bene a ricordare che il tardivo scatto di orgoglio del governo italiano tecnico uscente non solo non basta a risarcire un anno di prigionia, esilio, umiliazioni subiti senza un momento di protesta o rabbia dai due fanti di marina, ma anche che quella storia è stata poco chiara e poco pulita dal primo momento. Non c'è mai stata infatti una seria inchiesta giudiziaria, le ricostruzioni delle autorità indiane e i loro comportamenti sono sospetti, l'Italia le ha fino a ieri prese troppo passivamente per buone, hanno pesato giustificatamente ma non per questo meno volgarmente questioni mai ammesse di  appalti multimilionari in ballo tra le aziende italiane  nel settore della difesa e della cantieristica e il governo indiano. Avete presente la storiaccia di Finmeccanica, le mazzette scontate ai vertici militari indiani per un acquisto di elicotteri militari, il tentativo sfacciato di ottenere prezzi stracciati in cambio dei due ostaggi, infine la cancellazione frettolosa del contratto con tanto di finto stupore a Delhi, il viaggio immediato del presidente francese François Hollande in veste di sciacallo?  La giurisdizione  Il comandante della petroliera Enrica Lexie, l'equipaggio e lo stesso armatore hanno sempre sostenuto che al momento dei fatti la nave si trovava in acque internazionali, ad oltre 30 miglia dalle coste del Kerala. Per le autorità dello Stato indiano, invece, questa si trovava invece nella cosiddetta «zona contigua», all'interno della quale lo Stato avrebbe ancora diritto di far valere la propria giurisdizione.  Facciamola finita con questa finta diatriba, l'India non aveva comunque titolo per trattenere i due militari italiani perché secondo la convenzione di Montego Bay del 1982 «uno Stato non può fermare o abbordare navi battenti bandiera straniera».  Ma c'è voluto quasi un anno perché il 18 gennaio scorso la Corte Suprema dell'India riconoscesse le motivazioni del ricorso del governo italiano contro la detenzione due marò. L'Alta Corte con tutto comodo ha ammesso che i fatti sono avvenuti in acque internazionali e che la giurisdizione non competeva dunque alla magistratura locale del Kerala, dando ragione alle tesi della difesa. Il pronunciamento della Corte Suprema, però, non ha posto fine, come sembrava naturale, alla disputa, anzi si è messa mano con calma alla costituzione di un Tribunale Speciale. L'inganno  Il comandante della Guardia Costiera dell'India occidentale ha attirato la Enrica Lexie nel porto di Kochi: Cito le sue dichiarazioni. «Eravamo nel buio più completo riguardo a chi avesse potuto sparare ai pescatori. Grazie ai sistemi radar abbiamo localizzato quattro navi che si trovavano in un raggio fra 40 e 60 miglia nautiche dal luogo dell'incidente». Hanno allora chiesto se qualcuna di loro avesse respinto un attacco dei pirati, gli italiani hanno risposto positivamente. Allora gli hanno chiesto di tornare come testimoni per qualche ora nel porto più vicino, il tempo di riconoscere i pirati. Buchi dell'inchiesta  Nei verbali della polizia e della Guardia Costiera di Kochi è scritto chiaramente che il peschereccio St. Antony con le due vittime a bordo è rientrato in porto alle 18:20. A quell'ora c'era ancora il sole. Ma i filmati delle televisioni locali sono stati girati alle 22:30,  piena notte, basta controllare su YouTube. Il peschereccio è finito misteriosamente affondato poche settimane dopo, dunque addio a nuovi rilievi, da quelli forniti dalla polizia del Kerala c'erano i fori di 16 proiettili, oltre ai quattro che hanno ucciso i due pescatori, su un totale di oltre sessanta colpi che sarebbero stati sparati dai militari italiani. Latorre e Girone, però, hanno esploso solo venti colpi a scopo di avvertimento, in aria e in acqua, a distanze di 500, 300 e 100 metri, così come prevede il protocollo di ingaggio in caso di sospetto attacco pirata. Il numero dei colpi esplosi è confermato dalle registrazioni di bordo e dalle successive verifiche sulle munizioni. Cremati i corpi dei due pescatori, l'autopsia descrive  un proiettile di un calibro riferibile al 7,62 x 54, di fabbricazione sovietica, totalmente diverso dunque dal 5,56 x 45 adottato dalle forze armate della Nato, Italia compresa. Invece nella perizia conclusiva depositata in tribunale si cita a sorpresa il nuovissimo fucile d'assalto Arx 160, che è sì in dotazione sperimentale alle forze speciali italiane, ma non ai fucilieri del San Marco, che usano  i più vecchi Ar 70/90. Debolezza italiana  Sotto riflettori e critiche è finito il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che ha spedito laggiù addirittura un sottosegretario, Staffan De Mistura, ritenuto un nemico perché amico del Pakistan, ma la responsabilità del premier e del ministro della Difesa sono enormi, come imbarazzante è apparso il silenzio del Quirinale. Remissivo, conciliante, perfino timoroso, il governo italiano in Kerala ha fatto solo danni. Subito e senza pretendere nulla in cambio ha versato dieci milioni di rupie  alle famiglie dei pescatori uccisi, decisione questa presa in prima persona dal ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, che è un ammiraglio ma certo da militare non si è comportato, e  interpretato naturalmente dai media indiani come una ammissione di colpa. Subito sono stati pagati 30 milioni di rupie per il rientro in patria della Enrica Lexie. Mai è stata presentata una controperizia, e così ha contato solo quella dell'accusa. Veniamo al disastro internazionale. Il governo Monti non si è fatto sentire né all'Unione Europea né alle Nazioni Unite, tantomeno con gli Stati Uniti, rinunciando a occasioni pubbliche come l'Assemblea annuale dell'Onu, non utilizzando lo strumento della partecipazione alle missioni internazionali per chiedere in cambio un intervento contro le palesi violazioni del Diritto Internazionale da parte indiana.  Alla fine e per queste gravissime mancanza la versione indiana è l'unica circolata nel mondo, l'unica circolata in Italia, e per l'onore di quei due coraggiosi militari è un'ingiustizia insopportabile.  

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