Mughini: "Corona è il peggiore degli eroi negativi"
Ogni stagione ha i suoi miti, questa è quella dei miti al contrario. Subito dopo Fabrizio ci sono il terrorista Gallinari e il ciclista dopato Armstrong
di Giampiero Mughini Ogni stagione dell'uomo ha i suoi eroi, e non c'è da stupirsi che in questa nostra stagione gli eroi più in vista siano tutti eroi all'incontrario. Gente che lascia una traccia non per quel di buono che ha fatto, ma esattamente all'inverso: per quel di negativo che ha fatto. Personaggi di cui straripano i giornali di questi giorni. Tre eroi all'incontrario. Lance Armstrong, il ciclista che vinceva Tour de France come se piovesse, solo che lo faceva avvalendosi di tutta la gamma di additivi proibiti dalla legge e dalla legge sportiva. Prospero Gallinari, l'ex comunista di Reggio Emilia che nella vita aveva scelto di essere un terrorista politico e dunque un assassino (e ne aveva pagato il fio) e di cui lascia di stucco che siano tanti sul web a dirne con simpatia e con nostalgia. Fabrizio Corona, uno che nella vita faceva e fa Fabrizio Corona e non c'è altro termine a indicare le sue specialità (in ragione delle quali ha già accumulato condanne a oltre 7 anni), uno che gode anche lui di un notevole marketing sul web e fra il pubblico televisivo, e di cui è inesatto il titolo di Libero dov'era scritto “La stronzaggine non è un reato”, dato che Corona non è stato incolpato di stronzaggine: in quel caso di anni ne avrebbe beccati almeno una ventina. Tre eroi, sui quali ognuno di voi ha la sua opinione. Vi dico subito la mia. Dato che sono degli eroi all'inverso, la graduatoria va fatta a cominciare dal peggiore, poi il secondo in ordine di demerito, infine il meno peggiore dei tre, il quale beninteso è uno peggiore assai. Non voglio affatto colpire un uomo in ginocchio, e a parte che il padre di Fabrizio Corona, quel bravissimo giornalista che era Vittorio Corona, è stato un mio amico. Fabrizio Corona lo metto al primo posto, il più demeritevole. Ammetto di lasciarmi influenzare dall'alone di simpatia popolare che c'è attorno a lui e che tende a dipingerlo come un simpatico mascalzone cui tirare le orecchie e finirla lì. Simpatico sino a un certo punto uno che ricatta l'una e poi l'altra celebrità a cavargli soldi pur di non pubblicare una foto che ritrae la celebrità con una girl. Che lo fa non una volta ma per mestiere. Sempre. Che poi prende in mano soldi falsi e vorrebbe usarli e lo beccano e lui cerca di scappare via. E in più uno che mentre fa queste mascalzonate atteggia il corpo tatuatissimo alla maniera di uno che la sa lunga. Una volta il “salotto televisivo” di cui facevo parte stava discutendo intensamente se sì o no Corona aveva il diritto di sedersi in prima fila nel teatro sanremese, durante il festival in cui l'allora sua fidanzata era una delle due soubrette che affiancavano il conduttore. Obiettai che un “pregiudicato” seduto nella prima fila del teatro sanremese non era un gran spettacolo. Premesso che si dice “pregiudicato” di uno che ha riportato condanne penali, e in quel momento Corona aveva già subito una condanna in primo grado e un'altra in secondo grado, il conduttore della trasmissione annusò che nel pubblico televisivo presente in sala erano numerose le sciacquette che tifavano per Corona e dunque fece un passo avanti in favore di camera e si atteggiò a novello Cesare Beccaria, dicendo che nella sua trasmissione nessuno doveva essere giudicato colpevole prima di una sentenza definitiva. Le sciacquette gradirono. Io un po' meno, ma lasciai perdere perché so che quando sei su un set televisivo prima o poi ne senti di inaudite e ci devi stare. Dico tutto questo con il sorriso sulle labbra. Auguro ovviamente a Fabrizio Corona di avere un futuro giudiziario non troppo grave e soprattutto di meritarselo. E quanto al pubblico televisivo che lo tiene in palma di mano, non va dimenticata una raccomandazione che il giovane imprenditore televisivo Silvio Berlusconi faceva ai suoi collaboratori: “Guardate che il pubblico televisivo è in buona parte composto da gente che ha fatto la terza media e che non era fra i primi della classe”. Finora abbiamo sorriso. Con Prospero Gallinari e la sua morte e quel migliaio o poco meno di gente che ha seguito il suo funerale con il pugno alzato e con gli imbecilli che sul web lanciano un “Onore al compagno Gallinari!”, lì non ci sono parole che tengano. Gallinari da vivo ha pagato le sue colpe e ogni uomo che muore merita rispetto e pietas. Epperò senza pugni alzati e senza nostalgie che rivelano degli idioti accaniti che non sanno di che cosa stanno parlando. Gallinari non era un guerriero che ha sfidato un avversario militarmente più forte, era un assassino che ha pagato per le sue colpe. E perché allora lo metto al secondo posto? Perché Gallinari, a differenza di Corona, non ha mai cercato di apparire altra cosa di quello che era stato, un attore di prima fila della tragedia italiana degli “anni di piombo”. E arriviamo a quello che io giudico il meno demeritevole dei nostri tre eroi. Il ciclista Lance Armstrong. Quello che aveva superato indenne 500 controlli antidoping e che adesso ha confessato di essersi dopato alla grande per tutto il tempo delle sue vittorie al tour. Facevo quello che facevano tutti, ha detto, e nessuna ci ha provato a smentirlo. Tanto è vero che le sue vittorie al Tour non sono state assegnate ad altri, perché quelli che si erano classificati dopo di lui erano stati tutti beccati per doping. Mi appare del tutto evidente, ecco la ragione del mio giudizio su Armstrong, che qui l'eroe all'incontrario ancor più che il singolo ciclista è il ciclismo moderno nel suo complesso. C'è una coltre di ipocrisia su tutto questo. Lo sapevano tutti che Pantani si “faceva”, lo beccarono una volta che fecero il controllo al mattino un'ora prima del previsto. Non ci sarebbe il ciclismo moderno, gente che corre tutti i giorni all'andatura con cui sessant'anni fa Fausto Coppi stabiliva il primato dell'ora, se non ci fosse un uso sistematico di tutti quegli additivi, di cui il vituperatissimo professor Ferrari è probabilmente il più grande specialista al mondo. È lui che ha detto “C'è doping quando ti beccano”. Le volte che non ti beccano, facciamo tutti finta che il doping non ci sia. È il tempo degli eroi all'incontrario. È il tempo dell'ipocrisia. Quando Armstrong correva e vinceva dopo essere uscito indenne dal cancro, tutti lo ammiravano e tutti ci sguazzavano in quella favola e tutti ci guadgnavano. E adesso lapidatemi per averlo detto.