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Sallusti, Facci: "Ecco perché l'arresto fa schifo, così come certi colleghi"

Un giornalista finisce in galera e la categoria se ne frega. Latitano anche quelli del Pdl e la Santanchè se la prende con Alfano...

Giulio Bucchi
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di Filippo Facci A un certo punto la voce di Sallusti sembrava incrinarsi tanto che qualcuno, forse, sperava nel commovente colpetto di scena: ma ignorava che la sua voce è fatta così, si còrruga poco prima di menare fendenti. E i fendenti erano meno rivolti alla classe politica - stavolta - e più ai magistrati e soprattutto ai colleghi: quelli che, a partire dai presenti, sembrava partecipassero a una qualsiasi conferenza stampa e non a una che riguardasse anche loro. Non era un collega, quello. Non poteva succedere a loro. Se un nutrito drappello di magistrati aveva chiesto il carcere solo per Sallusti - e sulla base della stessa legge non l'aveva mai chiesto per altri - non è perché volessero espressamente in carcere lui: ma perché lui non aveva voluto difendersi, anzi, se l'era espressamente cercata, anzi, anzi. «Bastava chiedere scusa» mormorava a bassa voce un giornalista del Fatto che in realtà non ci credeva neanche lui. «Scusa un cazzo» gli rispondeva un altro: e giù discussioni malfatte, tanto per confermare che non siamo una corporazione e che siamo ridotti ad accessorio del bipolarismo.  Più tardi, finita la conferenza stampa, la discussione diveniva ecco sì, surreale: se la pericolosità sociale di Sallusti si traduce nel suo lavoro, come potrebbe lavorare semplicemente restando a casa? Come potrebbe scrivere, visto che la possibilità che «reiteri» articoli diffamatori è ciò che l'arresto dovrebbe precludergli? Discussioni così, prima di un panino cotto e formaggio.  Più tardi, al terzo piano di via Negri, si perpetuava quello che i giornalisti amano definire «clima «surreale». Battute su battute anche se non era più il caso. I poliziotti delle scorte che non sapevano più dove andare: a un certo punto è spuntato anche Magdi Allam - con una scorta da capo di Stato - e  sembrava di stare in questura. Freddure contro Feltri, assente di lusso. Paolo Berlusconi e sua figlia Luna stemperavano l'ambiente. Nicola Porro, agli arresti redazionali, beveva Coca Cola e annullava vacanze. Daniela Santanchè sembrava dilaniata tra questioni di principio e di sentimento.  La manifestazione - Alle 15 e 18, sotto Il Giornale, s'improvvisava una manifestazione così spontanea che nessuno aveva organizzato niente: ma niente proprio. Tutti i centocinquanta intervenuti avevano l'aria del pubblico ma non del giocatore, mancava la partita. Sallusti palleggiava da solo e partivano applausi. Abbracci, pacche sulle spalle, «stiamo a vedere che succede...». Si materializzava Ignazio La Russa, che sarebbe rimasto in zona tutto il pomeriggio. Dal numero dei manifestanti in genere si sottraggono i giornalisti, anche se in questo caso a manifestare dovevano essere anche loro.   Scusi, può ripetere? - La telefonata di Angelino Alfano alla Santanchè è delle 16 e 19, ma ciò che lei gli ha rovesciato addosso è irriferibile. Restano i fatti: del partito non era venuto nessuno, a parte La Russa, uno che di partito oltretutto vuol farne un altro. Benché allertati, i coordinatori regionale e cittadino non si sono fatti vivi. Daniela, alla cornetta, pronuncia la parola «merda» sette volte in un minuto. Alfano di sale. Feltri passa in corridoio verso le 17, sigaretta alla bocca. Tira dritto. Altri fanno dei calcoli su quanto resterebbe dentro Sallusti se alla diffamazione (14 mesi) si sommasse anche una tentata evasione dai domiciliari (da uno a tre anni). C'è un po' di pressing per convincerlo ad andare a casa in serata - nel senso: restandoci - e di resistere sinché l'avvocato, Valentina Ramella, non faccia una richiesta di revoca degli arresti domiciliari. Dalla svuota-carceri alla riempi-carceri. In genere si fa il contrario.   In strada vivacchia un po' di gente, si attende non so chi: forse la Digos che lo prelevi per portarlo a casa. Si fa il contrario anche in questo, in genere: sono loro che vengono a casa a prelevarti. Il Sallusti casalingo, formalmente, non potrebbe lavorare a meno di richiedere un «permesso di lavoro» al magistrato di sorveglianza: ma il lavoro, come detto, nel suo caso confina con la facoltà di delinquere. Basterebbe questa equivalenza eversiva - il giornalismo come pericolosità sociale - a far scattare la categoria come un sol uomo: e non come un uomo solo, quale è ora indubbiamente Sallusti.  Daniela Santanchè è preoccupata: in serata dovrà essere a Torino e ha paura che Alessandro le scappi da casa (magari evada per comprare le sigarette) e chiede a Porro se può fargli compagnia per cena. Fuori, intanto, ciò che non appare in traiettoria con le primarie del Pd – pardon, primarie di coalizione – sembra non esistere. Stanno arrestando il direttore di un quotidiano occidentale per un articolo che non ha neppure scritto: ma gli aggiornamenti sui regolamenti del ballottaggio contano di più. Il Corriere.it mette la notizia in secondo piano, dopo una fondamentale intervista a Frattini. Repubblica.it la mette come undicesima notizia. I telegiornali delle 20 snobbano discretamente: stessa ora in cui a Milano comincia a piovere. E l'avrà pensato anche Sallusti: meglio restare a casa.  

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