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Ora che Tonino è finito, fanno tutti a gara a sputtanarlo

Sulle grane immobiliari di Di Pietro Report ha ridetto ciò che Libero denunciò anni fa. La differenza? Ora che il leader Idv è al capolinea, bastonarlo è più facile

Roberto Procaccini
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di Filippo Facci   Diversi lettori e colleghi - anche autorevoli - ci chiedono e scrivono più o meno questo: ma come, Report ha copiato le vostre inchieste su Di Pietro e voi non dite niente? Non vi hanno neppure citato e voi non dite niente? Cioè: giornalisti e dipietristi stanno scoprendo l'acqua calda e voi non dite niente? Risposta: no, non diciamo niente. Nel senso: abbiamo già detto con le nostre inchieste, appunto, e per il resto il giornalismo è fatto così. C'è chi semina - anche fuori stagione - e chi vendemmia e magari ci fa pure il vino, e raramente sono le stesse persone. È vero, l'inchiesta di Report non aggiunge un dato che sia uno - semmai ne toglie - a quanto fu variamente pubblicato, anni fa, su giornali e libri, e una differenza, probabilmente, è che ai tempi Di Pietro seppellì tutti di querele - lui col suo studio di inquisiti, i Maruccio & Scicchitano - mentre vedrete che ora contro Report non farà nulla: è normale anche questo. Ciascuno fa la sua parte. Sabrina Giannini, l'autrice del pezzo su Report, è un'eccellente giornalista con un gran curriculum. Rivendicare medaglie e copyright oltretutto non è solo patetico, è complicato: dell'impero immobiliare di Antonio e famiglia, in particolare, oltre al sottoscritto scrissero Paolo Bracalini e Gianmarco Chiocci e Massimo Malpica del Giornale, oltre ad Alberico Giostra in un suo dettagliatissimo libro e Giuliano Sansevero sul sito La Voce delle Voci; ci lavorò anche Elio Veltri - che si rivolse vanamente alla magistratura, come l'avvocato Mario Di Domenico - e insomma ci si fece un mazzo così tra piccole investigazioni e visure catastali: un caso di giornalismo investigativo da non confondere con quello spacciato da certi topi di procura che si limitano, è noto, a pubblicare faldoni giudiziari affastellati dai magistrati: quando ci sono. Quando non ci sono, invece, va così: qualcuno si sbatte e rischia anzitempo sapendo che un giorno, se il suo lavoro è buono, il giornalismo più istituzionale se ne impossesserà dopo aver sbirciato le previsioni del tempo. Ecco: per Di Pietro il barometro segna tempesta.  Chiuderei la parentesi con una sola annotazione: sappiano, certi vendemmiatori, che su Di Pietro e sulla banda dei valori immobiliari c'è ancora moltissimo da «rivelare»: ed è tutto già scritto. Ecco perché il finto stupore e la maretta nel suo partito (il Maruccio, cioè) hanno il sapore di una penosa resa dei conti all'interno della micro-casta dell'Idv. Mors tua vita mea: anche se non è vero, perché nel Partito, ormai, buttano a mare la gente da una nave che affonda tutta.  Altra cosa però è chiedersi perché i tempi paiano maturi proprio adesso, cioè perché tutti - solo perché han visto pochi minuti di televisione - ora bastonano il cane che affoga. È semplice: perché affoga. È spacciato come merita, e il bello è che l'ha fatto fuori colui che sembrava il suo alleato di ferro: Beppe Grillo. Di Pietro è quello che prima difende l'accordo di Vasto, poi Vendola e il Pd lo respingono, allora lui straccia l'accordo di Vasto, poi propone un'alleanza a Grillo, Grillo lo manda affan-day, allora lui critica Grillo, poi chiede regole per le primarie, poi si candida alla premiership senza le primarie, poi attacca Napolitano su qualsiasi cosa, poi rivaluta Craxi, sostiene Ingroia, si autoinvita alla festa del Pd, il Pd lo respinge, allora lui attacca il Pd, e insomma: un merluzzo che si contorce sull'arenile, senza un disegno, una pianificazione, senza niente. Il suo partito personale è già decrepito: perché lui piglia i soldi pubblici, ha figli e famigli in politica, ha candidato inquisiti e persino piduisti, soprattutto ha già accumulato cinque mandati ed è in politica da 17 anni. Tantissimi, considerato che non avrebbe mai dovuto entrarci.  

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