Le ciance di Ciancimino
Ieri è stata pubblicata l'ennesima intercettazione in cui spiegava a un indagato per riciclaggio che si sarebbe fatto archiviare l'indagine sul suo «tesoretto»
Di Massimo Ciancimino non sappiamo più che cosa scrivere: non c'è giorno senza che spuntino nuove scemenze che ha detto o fatto o verbalizzato. Verrebbe da occuparsi d'altro, ma poi torna in mente come questo globetrotter della calunnia ha tentato di sputtanare l'universo mondo: da Berlusconi alla strage di Ustica, dalla cattura di Riina alla latitanza di Provenzano, da Milano 2 a Dell'Utri al caso Moro, dal generale Mori al procuratore Grasso. Ieri è stata pubblicata l'ennesima intercettazione in cui spiegava all'interlocutore - un indagato per riciclaggio, gente così - che si sarebbe fatto archiviare l'indagine sul suo «tesoretto» (che i pm palermitani, a onor del vero, tentarono di archiviare) dopodiché chiariva, rispetto ai pm, quello che tutti o quasi sapevamo: «Io sono vendibile... se vogliono mettere a posto mi rimangio tutto... Io sono in vendita». Ecco, il problema è chi l'ha comprato. Il problema è chi, per anni, l'ha omaggiato come l'oracolo di Delfi. Il problema sono i giornalisti che lo ospitarono al loro festival, è «Annozero» che ne fece un servizio pubblico, è il solito Travaglio secondo il quale Ciancimino, poveretto, aveva solo «falsificato un documento su 150». Il problema è il solito Ingroia, quello che definì Ciancimino «quasi un'icona dell'antimafia» e che in Guatemala, tutto sommato, sarebbe al suo posto.