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Picasso a Milano, una meravigliosa mostra orribile

Folla urlante da stadio, Lady Gaga a tutto volume, guide cafone e addetti assenti rovinano un'esposizione eccezionale (in potenza)

Andrea Tempestini
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  di Andrea Tempestini Una necessaria premessa profondamente antigiornalistica: non voglio scrivere nulla che già non si sappia. Si tratta solo di uno sfogo. E non che ce l'abbia con l'Italia e gli italiani. Anzi, detesto lo sport nazionale del "dagli al tamarro tricolore", che se poi li trovi così repellenti fai meglio a tacere e provare ad andartene. Però l'altra sera mi sono infilato alla mostra di Picasso, a Palazzo Reale, inziata da 15 giorni buoni. Mi ci sono infilato il giovedì, che il giovedì, di sera, c'è sempre poca/meno gente. Ovvio, sarebbe improprio pensare, a due settimane dall'apertura di una delle esposizioni più attese dell'anno, a una fruizione esclusiva. La mostra è di bellezza rara. Le 250 opere esposte emozionano anche chi, come me, non ha particolari competenze. Non c'è Guernica, ma quella chi la sposta (ultima apparizione in Italia nel 1953, proprio a Milano, sotto l'occhio vigile del Picasso stesso). In compenso l'opera viene "sostituita" nella sezione d'apertura: sugli schermi scorrono le fotografie con cui venne immortalata la creazione del capolavoro. Al fondo della sala Guernica viene proiettata. Certo, nulla a che spartire con l'originale, ma è una ricostruzione suggestiva, riuscita. Appesi e meravigliosi anche "Uomo con il mandolino" e "Uomo con la chiatarra". E ancora, di periodo in periodo, "Ritratto di Dora Maar", "Due donne che corrono sulla spiaggia", "Paul come Arlecchino", "La Celestina". Ma non è questo il punto. La cronaca. Lo scempio si poteva udire già da piazza Duomo, dove riecheggiavano (sic!) le note di Lady Gaga. Provo sgomento nello scoprire che le note arrivavano dal cortile di Palazzo Reale: aperitivo cool in location suggestiva con annessa musica demenziale. Il tutto a una manciata di metri dalla mostra. O meglio, nello stesso luogo della mostra, funestata dall'eco dei bassi della signora Germanotta (e simili). La speranza - evaporata in fretta - era che quel rimbombo non arrivasse fino alle sale: il biglietto lo ho staccato ugualmente (9 euro, tanti, ma ben disposto a spenderli per un "prodotto" accettabile) e poco dopo me ne ne sono pentito. Non soltanto per Lady Gaga. Le sale erano inverosimilmente zeppe. Per me, che covo un'acuta repulsione per i mezzi pubblici, veder ricreato a Palazzo Reale l'effetto di una metropolitana all'ora di punta è stata un'amara sorpresa. Forse alle aperture serali devono cacciare dentro tutti, che a breve si chiude. A me è parso un insulto. Perché - spesse volte mi è successo - non diluivano le entrate? Non chiedo, ribadisco, una fruizione esclusiva, soltanto decente.  Ora, è un dovere morale, devo anche cimentarmi nel "dagli al tamarro". Il campionario che popolava la sala era grottesco. Finti intressati, mariti annoiati, ragazzini ubriachi, ragazzini stranieri ubriachi e molesti, vamp, donne fasciate da un vestiario proto-pornografico, donne sciatte, persone casuali che dibattaveno di meteorologia, uomini&donne ai cellulari (che squillavano impuniti) un tizio che cantava "Vecchio scarpone" (e non mi è più uscito dalla testa), capannelli di persone focalizzate sul derby di domenica, totali disinteressati che sghignazzavano dandosi di gomito davanti alle opere, fottuti idioti che si divertivano a far scattare l'allarme di una porta (non esagero, è scattato almeno 15 volte). Poi c'erano gli indignati - lo ammetto, ero fra quelli, anche se gli indignati non li sopporto - che scuotevano compulsivamente la testa. I più arditi si esibivano in "sccccchhhhhht" destinati a perdersi nel vociare indistinto. Qualcuno dava di matto e urlava: ecco il silenzio, ma soltanto per brevi istanti. Gli indignati si dividevano tra gli indignati per partito preso e gli indignati perché, cazzo, vorrei vederla questa mostra. Certo, Palazzo Reale non brulicava soltanto di casi umani. C'erano anche appassionati d'arte: qualcuno riusciva ad estraniarsi, altri invece no. Il risultato era una fiumana di gambe, una selva di braccia, un grumo di carne all'interno del quale si sgusciava con enorme fatica tra intoppi, collisioni, commenti inutili ("Quello è il naso, sotto c'è la bocca", "Ecco, lui è l'uomo. Invece lei la donna"), commenti insostenibili ("Meraviglioso questo quadro", "Chissà quanto costa", "Ce lo vedrei bene sopra la vasca da bagno") e commenti che innescavano furia omicida ("Chissà che s'era fumato prima di farlo", "Sto Picasso era proprio un pazzo", "A me sti quadri non mi dicono niente"). Per carità, ognuno - forse - è anche legittimato a dire quello che vuole. A una mostra, però, per decenza e rispetto, se proprio deve, dovrebbe farlo sussurrando. Chi entra a un'esposizione è soggetto a regole elementari, quali non passare davanti a chi osserva un dipinto, non monopolizzare la visione impiantandosi a quattro centimetri da una tela, rispettare le file che si creano davanti a un quadro, non urtare le altre persone. Una serie di comandamenti base che venivano ignorati nello stupro collettivo di risate e chiacchiericci a voce, semplicemente, alta. Ultima nota dolente ma non in ordine di importanza, quella delle guide e dei gruppi organizzati. Squadre di rugby alla mostra di Picasso. Per ogni guida - e mi chiedo come possa essere "legale" - trenta persone. Il risultato? Per oltrepassarle erano necessari calci negli stinchi, occhiate furenti, gomitate nel basso ventre, moti di rabbia. Trenta persone con cuffietta, ché la guida, per non disturbare, deve (dovrebbe) fiatare nel microfono, a voce bassissima. Peccato che se ne strafottessero. I ciceroni (almeno la maggior parte di essi: ho avvistato anche due esempi virtuosi), come il peggiore dei Paolo Bonolis si esibivano in show ammiccanti, il tono di voce iperbolico, una sorta di gara col tamarro di turno a chi grida di più. Il finale è stato da conato di vomito: uno scroscio di applausi dei trenti rugbisti per la guida di turno che aveva terminato il suo lavoro (gridato). Come l'applauso per il pilota all'atterraggio. E qui sì, anche se odio scriverlo, vien da dire "solo, solo e soltanto in Italia". Concludo. In apparente contraddizione con quanto appena affermato, devo ribadire che no, non necessariamente ce l'ho con l'Italia e gli italiani. Ribadisco: nulla di nuovo. Si tratta soltanto di uno sfogo. O, volendo, dell'appello di uno squinternato che non ha nulla di meglio da fare. Ma è proprio il massimo che possiamo offrire? Nella virtuosa Milano ospitiamo una mostra che attira visitatori da tutta Europa e permettiamo questo scempio? I numerosi guardiani e addetti presenti nelle sale non potrebbero essere addestrati all'intransigenza? Gli ingressi non potrebbero venire diluiti, sempre e comunque? E' mai possibile che i gruppi e le guide rovinino, devastino la mostra stessa? Non si può arrestare chi ha deciso di sparare Lady Gaga ad alto volume "dentro" alla mostra? Scusate la chiusa scontata e deprimente, ma quando poche settimane fa sono stato alla Tate di Londra per Munch, sì, di gente ce n'era molta, ma era composta, per bene, i gruppi erano lievi e attraenti, gli addetti cazziavano chiunque calpestasse il sacrosanto diritto degli altri a una fruizione decente e Lady Gaga non c'era.  

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