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Nuzzi: anche la fiction tradisce Enzo Tortora, silenzio sui pm

Nel 1983 la magistratura si dimostrò schiava della giustizia strillata e di pentiti farneticanti. Ma nell'ultima ricostruzione televisiva di tutto questo non c'è traccia

Giulio Bucchi
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di Gianluigi Nuzzi C'è un unico modo per rendere pubblico l'impegno e il dolore di Enzo Tortora e della sua famiglia, il disastro di una giustizia strillata, supina sulle farneticazioni deliranti di un manipolo di pentiti, come quella che strinse le manette intorno ai polsi del presentatore il 17 giugno 1983. Nel corso di un'impresa, ricordiamolo, che tutti i massmedia si affrettarono a definire storica. C'è un unico modo per evitare di affondare nella melma del qualunquismo, della socializzazione degli eroi usa-getta, della cannibalizzazione della memoria e dignità di chi, come Tortora, ha fatto della coerenza, dell'essere perbene il proprio vessillo. Dimettendosi prima da deputato (antesignano rimasto senza eredi),  e poi ammalandosi per quella giustizia «truccata da giustizia e che, invece è ingiustizia truccata da giustizia», che prima fra tutte uccide proprio l'immagine e il comune sentire verso la magistratura. L'unico modo è far proprio l'insegnamento di Tortora che si può riassumere in un'unica parola, il coraggio. «La libertà non è altro, il coraggio di dire e di raccontare queste cose, cessando di inchinarci come dei viscidi alle parole dei potenti...».  Leggi l'articolo integrale di Gianluigi Nuzzi su Libero in edicola oggi, martedì 2 ottobre

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