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Pensioni, la beffa nella riforma quota 100: chi perde l'assegno per un solo mese di ritardo

Gino Coala
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La carta d'identità e la data di inizio del lavoro potrebbe riservare una grande beffa per chi spera di andare in pensione sfruttando la riforma di quota 100 o l'opzione donna. Gli scalini ad ogni riforma sono inevitabili, anche stavolta resterà esclusa una discreta platea di lavoratori che non raggiungono i requisiti per una manciata di mesi, vedendo così rinviata la data della pensione di 5 o 6 mesi. Leggi anche: Pensioni, Tito Boeri: "Quota 100 toglierà risorse al reddito di cittadinanza" Nel caso, per esempio, di due coetanei nati nel 1959, se il primo ha cominciato a lavorare a 24 anni e l'altro a 25, uno andrà in pensione a 62 anni e l'altro a 68 anni. Quando la fase sperimentale di quota 100 arriverà a conclusione nel 2021, il soggetto che aveva cominciato a lavorare nel 1984 raggiungerà solo quota 99. L'anticipo comunque avrebbe comportato una riduzione del 15%, anche se per più anni. Un tempo che avrebbe potuto dedicare a lavorare e contribuire ad aumentare il proprio assegno. Per le donne non va meglio, considerando l'opzione che permette loro di uscire con 35 anni di contributi e 58 anni se dipendenti, 59 se autonome. Una strada penalizzante rispetto alla platea maschile, visto che l'assegno viene ricalcolato interamente con il metodo contributivo e si può andare in pensione sfruttando solo due lunghe finestre: 12 mesi dal raggiungimento dei requisiti per le dipendenti, 18 mesi per le autonome.

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