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Ricatto dei banchieri al Governo"Lo sconto fiscale o licenziamo"

L'Abi straccia gli accordi sindacali: senza contratto 315mila dipendenti. Sciopero il 31 ottobre

Nicoletta Orlandi Posti
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È prevalsa la linea dura, anche se non condivisa all'unanimità. L'Abi ha disdettato il contratto di lavoro. E la categoria ha deciso di rispondere con lo sciopero: il 31 ottobre, in occasione della Giornata mondiale del risparmio organizzata dall'Acri (l'associazione delle fondazioni) i bancari incrociano le braccia: è la prima volta dal 2005 ed è soprattutto una rottura che interrompe bruscamente un lungo periodo di concertazione e condivisione nel settore.   Una mossa, quella dei banchieri, in parte prevista e formalizzata lunedì scorso nel corso dell'incontro coi sindacati della categoria. Quel contratto, firmato a gennaio del 2012, scadeva a metà del prossimo anno. E la disdetta, stando agli accordi, avrebbe potuto essere formalizzata sei mesi prima. Per chi lavora negli istituti si aprono scenari preoccupanti: c'è il rischio di accordi banca per banca, sul «modello Fiat» voluto da Sergio Marchionne, e quello di licenziamenti collettivi. E invece i banchieri non solo non hanno rispettato i patti, ma hanno deciso di usare i 315mila lavoratori del settore come arma di ricatto nei confronti del Governo. È in questa logica, spiega un alto esponente delle banche, che va letta la decisione suggerita da Francesco Micheli, manager di Intesa Sanpaolo e capo delegazione Abi. In effetti, da alcuni anni, i banchieri stanno chiedendo all'esecutivo una serie di  riforme per aiutare l'industria bancaria. Si tratta per lo più di richieste in campo fiscale (come la deducibilità delle perdite su crediti e degli interessi passivi), finalizzate a creare un campo di gioco livellato rispetto alla concorrenza europea, che sfrutta regole nettamente più favorevoli.  Una battaglia giusta e, vale la pena ricordarlo, sostenuta dagli stessi sindacati. L'Assobancaria però non è riuscita a convincere né l'Esecutivo guidato da Mario Monti (nonostante la presenza di pezzi da novanta del settore nei posti chiave) né quello attuale formato da Enrico Letta. Ora la Confindustria delle banche ci riprova con le maniere forti, mettendo in ostaggio 315mila lavoratori.  Se Letta concederà quanto chiesto dai banchieri a stretto giro, si aprirà un negoziato  ordinario. Altrimenti, sarà guerra. La pista del ricatto è stata smascherata dalla Fabi, il principale sindacato del settore. L'Abi   «vuole utilizzare il sindacato per fare pressioni sul Governo e ottenere quelle agevolazioni fiscali che la lobby bancaria non ha ottenuto»  dice il segretario generale, Lando Maria Sileoni. Secondo il sindacalista è «una iniziativa senza precedenti, un gioco che non ci piace». Per la verità anche fra i  banchieri si registrano disappunti: i timori legati a una fase di tensioni sindacali sono forti e pregiudicano l'operatività.    Alla fine della giostra, l'obiettivo delle banche è alleggerire i bilanci.  La richiesta dell'Abi alle sigle, dunque, potrebbe essere di rinnovare il contratto del 2012, ma senza aumenti di stipendio. In pratica, fino al 1 luglio 2016   le buste paga resterebbero ferme agli attuali livelli. Ipotesi, c'è da scommetterlo, che le sigle respingeranno, tenuto conto che con la piattaforma varata lo scorso anno, la categoria ha già ingoiato novità di peso e fatto sacrifici, come l'allungamento dell'orario di lavoro e l'apertura degli sportelli al sabato. Per spiegare la strategia Abi, Micheli tocca le corde dell'innovazione tecnologica. Insomma, i banchieri si sono accorti, all'alba del 2013, che internet ha tagliato l'affluenza di clienti allo sportello e il numero di operazioni eseguite con gli operatori: una riduzione che una volta era considerata un obiettivo strategico, ora, invece, è un problema. Ma tant'è. di Francesco De Dominicis twitter@DeDominicisF

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