Lasciateci fumare: volevo smettere ma l'assurdo divieto di Sala mi ha fatto cambiare idea
Volevo smettere di fumare ma Sa la mi ha fatto cambiare idea. Dal 1° gennaio quindi continuerò a farlo, infischiandomene del divieto che entrerà in vigore. E spero che prevalga la tolleranza da parte dei non tabagisti. Perché più che l’odore di fumo, è quello delle imposizioni a doverci infastidire. La libertà individuale, anche il minuscolo spicchio che ci è rimasto, va difesa sempre e comunque. Senza contare che quella varata dal Comune di Milano, tra le possibili misure di contrasto a un vizio nocivo per la salute, mi pare la più assurda.
Condivido il divieto di fumare nei luoghi chiusi (non lo faccio nemmeno a casa mia) per rispetto di chi, e a ragione, non ha intenzione di intossicarsi con le esalazioni del tabacco. E seguo già da solo, senza che nessuno me l’imponga, certi accorgimenti per non infastidire chi mi siede vicino in un dehors. Premure che però sono figlie della buona educazione e non certo del ricatto da parte del potere. Ché di questo si tratta: la norma voluta dal sindaco di Milano che vieta di fumare in strada a meno di dieci metri dal prossimo avrà come unico effetto quello di limitare la libertà individuale.
I nobili fini che si vogliono perseguire con questa regola non sono altro che una foglia di fico per comprimere ancora di più la sfera di autonomia di tutti, non solo dei fumatori. Una volta accettato il principio secondo cui il perseguimento del bene comune giustifica a priori qualsiasi sacrificio della libertà individuale il potere non avrà più limiti. E, sciolto da ogni vincolo, potrà tracimare ovunque. Ne abbiamo avuto prova, si parva licet, durante la pandemia. Certo, la gravità degli eventi era incommensurabile, ma il principio di fondo è lo stesso: il collettivo prevale sempre sull’individuo.
Lo stesso discorso vale per tutte quelle norme che vogliono moralizzarci in vista di un obiettivo superiore. Basti pensare a tutto quell’apparato di divieti per ridurre le emissioni di Co2, costringendoci a cambiare macchina o a spostarci con i mezzi pubblici. La salvezza dell’ambiente giustifica qualsiasi imposizione, anche a prescindere dai benefici effettivi. Come nessuno con un po’ di sale in zucca può seriamente pensare che il passaggio all’auto elettrica imposto da Bruxelles possa salvare il Pianeta dai cambiamenti climatici, così non si può credere alle ragioni che il Comune di Milano ha addotto per motivare il divieto di fumo in strada. Tra queste ci sono la tutela della salute della cittadinanza e la riduzione delle famigerate polveri sottili. Qualcuno può credere che accendendo una sigaretta all’aria aperta si danneggino i polmoni altrui?
O che in questo modo si riduca l’inquinamento in una delle città più inquinate d’Italia? L’unica conseguenza sarà quella di legittimare le geremiadi di qualche frustrato, di conferire il potere della delazione a chi non ha meglio da fare che rampognare il prossimo.
Ma al netto di tutto questo, il punto qui è un altro. Ovvero la deriva, sempre più inquietante, verso uno “Stato etico”, che può decidere cosa è giusto e cosa sbagliato, e imporlo a tutti. Non è un caso che sia la sinistra, non solo quella italiana, a sposare con ottuso entusiasmo la funzione moralizzatrice della politica: il retaggio comunista prevale ancora sui principii liberali. Le misure liberticide, per quanto piccole, vanno sempre rispedite al mittente. Per questo il 1° gennaio mi accenderò una sigaretta seduto al tavolino di un bar, respirando a pieni polmoni l’aria balsamica della Milano di Sala.