Bray sotto un muro di PompeiBondi si dimise per molto meno
Il 9 agosto il ministro dei Beni culturali diceva: sarà simbolo della rinascita del Paese. Invece continuano i crolli e lui non fa una piega
Che strano Paese il nostro. Talmente strano che anche i crolli, ormai, sono diventati di destra e di sinistra. Anzi, trattandosi di Pompei - dove domenica pomeriggio si è sbriciolato il muro di una bottega di via Stabiana e poi è venuto giù una parte di intonaco della Casa della Fontana piccola - ci sono i crolli berlusconiani e quelli radical chic. Contro i primi si fanno le crociate, per i secondi, invece, qualche critica, un bell'annuncio del ministro e il gioco è fatto. Peccato che di mezzo ci sia un pezzo del nostro patrimonio archeologico, unico al mondo. Per dire. Sandro Bondi, all'epoca dei fatti ministro dei Beni culturali, venne praticamente lapidato in piazza quando a Pompei (nel novembre del 2010) crollò la Domus dei gladiatori. «Se avessi la certezza di avere responsabilità in quanto accaduto mi dimetterei», disse allora l'attuale senatore di Forza Italia, dimostrando senso di responsabilità, «ma rivendico invece il grande lavoro fatto». Cosa che nessuno gli ha mai riconosciuto. Tant'è che, da lì a poco, Bondi si dimise pagando anche per le colpe degli altri, che non sono mai stati rimossi. Massimo Bray, attuale titolare del dicastero, di fronte al crollo di domenica, si è limitato a fare spallucce, tanto che nel giorno del disastro non ha sentito nemmeno il bisogno di far sentire la propria voce. Poche, pochissime dichiarazioni e nessuna del ministro. Ieri, incalzato dagli eventi e dall'ondata di rabbia e indignazione scatenatasi sui social network dove so parla di «Grane Pompei» al posto di «Grande Pompei », Bray ha fatto ricorso al metodo Letta, ovvero parlare d'altro per non parlar di nulla. Cioè dell'ennesimo crollo e della situazione di Pompei, che rischia di essere riseppellita dal dall'incuria e dalla follia della politica. «Entro il 9 dicembre nomineremo il direttore generale del progetto Grande Pompei per realizzare al meglio tutti gli interventi necessari», sostiene l'esponente dell'esecutivo tramite Twitter. Il super manager avrà il compito di gestire il «Grande Progetto» di restauro, finanziato con i 105 milioni messi a disposizione dall'Europa. Soldi che il ministero, con i suoi ritardi e lungaggini burocratiche, sta rischiando di perdere. «I lavori cominceranno con il ripristino del muro danneggiato», spiega il ministro Bray, «il danno, seppur limitato, necessita di intervento». Piccolo o grande, sempre di crollo di tratta. Anche perché Pompei, come ha affermato il titolare dei Beni Culturali il 9 agosto scorso, «deve essere il simbolo della rinascita del Paese». Ad oggi rappresenta il suo esatto contrario. Molto più semplice dare i soldi al Maggio Musicale fiorentino, in modo da togliere le castagne dal fuoco all'amico Matteo Renzi, che mettere le mani - sul serio - nella questione Pompei dove servono fatti e non parole. Non a caso gli “annunci” del ministro dandy non placano le polemiche politiche e non frenano il popolo del web, dove fioccano commenti e proposte, anche ironiche. Sul fronte politico a farsi sentire con maggiore vigore è l'ex ministro Bondi. «Quando crollò un rifacimento in cemento armato nel sito archeologico», ricorda l'esponente di Forza Italia, «il capo dello Stato espresse il proprio sdegno definendolo “una vergogna per l'Italia”. Ieri, invece, nessuno ha creduto di dire una sola parola». Di «autentico sciacallaggio e disonestà intellettuale» parla Daniele Capezzone, presidente della commissione Finanze della Camera. Parole, quelle di Capezzone, che trovano la convinta adesione della senatrice Elisabetta Alberti Casellati e del collega Giancarlo Galan stupito dal fatto che nessuno ha presentato «una mozione di sfiducia nei confronti del ministro». Come avvenne con Bondi. Per fortuna Pompei è davvero un patrimonio dell'Umanità. «Il premier Letta affronti l'eterna emergenza di Pompei, messa a dura prova dai nuovi crolli», afferma il presidente della commissione Cultura del Senato, Andrea Marcucci. «L'Europa», osserva l'esponente del Pd, «si chiede cosa stiamo aspettando ad usare i 105 milioni di euro messi a disposizione per il restauro». Ecco, francamente ce lo chiediamo anche noi. E gli italiani indignati. di Enrico Paoli