Cerca
Logo
Cerca
+

Mio figlio genio che fa paura alla gente

Andrea, 7 anni, è plusdotato. Ma la scuola non lo aiuta e per tutti è solo un fenomeno da studiare

Matteo Legnani
  • a
  • a
  • a

«Signora, suo figlio è un plusdotato», la pediatra mi guardava negli occhi mentre  i miei erano già scivolati giù verso il pisellino, ma lì era  tutto nella norma... Andrea aveva due anni, se ne stava disteso sul lettino e mentre la dottoressa lo visitava, leggeva i nomi di tutti i campioni di medicina esposti sul mobile ad alta voce. «Ta-chi-pi-ri-na»  e poi: «Nu-ro-fen». A differenza del mio bimbo che capisce tutto all'istante io ci ho messo qualche secondo a realizzare che la pediatra parlava della sua testa. Andrea è il mio primo bimbo, ora ha sette anni. Per tutti è un “piccolo genio”, per me è una meravigliosa creatura che si diverte con i numeri come un giocoliere con i birilli, con due occhi grandi così  che si spalancano  sulla conoscenza come finestre in una giornata di sole. Avrei dovuto capirlo da subito che Andrea non era normale, avrei dovuto capirlo quando a un anno, lo portavo in giro in passeggino e gli dicevo: «Andre, guarda il tram», e lui mi rispondeva con il numero del mezzo: «È il 27», oppure: «È il 9». Avrei dovuto capirlo quando batteva i piedini davanti ai numeri civici dei palazzi che gli scorrevano sotto gli occhi, quando quel giorno si girò verso di me e chiese: «Mamma ma perché mancano dei numeretti?». Gli spiegai la differenza tra i pari e i dispari. A un anno e mezzo Andrea conosceva tutti i numeri e le lettere. E, meno di un  anno dopo, sommando una lettera all'altra come si fa con le cifre ha imparato a leggere. Gli si è aperto il mondo dei libri e della conoscenza che lui insegue come un bulimico cerca il cibo. Non gli basta mai. Un giorno,  ecco che arriva la prima  domanda impegnativa: «Mamma, ma qual è l'ultimo numero?  Lo cerco ma non lo trovo mai...». E io:  «I numeretti non finiscono mai, sono infiniti». Lui ci pensa un microsecondo e replica: «Ma se sono infiniti sopra lo zero, lo sono anche sotto». Aveva appena capito il concetto di infinito e un attimo dopo faceva le operazioni algebriche.   Un giorno una mia amica gli regala un mappamondo gonfiabile. «Così gli torna utile tra qualche anno...», mi dice pensando che Andrea lo avrebbe istintivamente preso a calci. Invece comincia a studiarlo. La sera stessa conosceva  le capitali dei Paesi del mondo e riusciva a trovare sul mappamondo tutti i Paesi. Per alcuni mesi,  quando qualcosa non gli andava si lamentava dicendo parole inventate e poi ridendo: «Questo pianto viene dalla Corea del Nord o dal Turkmenistan!»  A tre anni  e mezzo è arrivata l'ora della scuola materna. Ricordo il primo colloquio. Lui con me e il suo papà  seduti dietro la scrivania della direttrice. Lei gli dice:  «Sai che qui giocherai, conoscerai tanti bimbi» e lui fissando il calendario:  «Qua dentro il tempo è  fermo ad aprile». Era il mese di giugno. La direttrice ci guarda sbigottita: «Signora, non so se  questa scuola è adatta a lui…».   Lo stesso sguardo me lo sono ritrovato addosso in autobus quando cominciò a leggere ad alta voce tutte le pubblicità e poi ancora alle casse del supermercato quando disse alla commessa: «Il conto della mamma è di 34 euro e 55 centesimi»,  prima ancora che lei digitasse l'importo del primo prodotto sulla cassa.  Mentre io prendevo il burro e il latte, lui sommava i prezzi.  «Sei un genio», gli disse la cassiera. E lui: «No, sono un bambino».   Con il passare degli anni Andrea ha scoperto l'astronomia, si è appassionato di pianeti e di stelle,  ha imparato con la naturalezza con cui un bimbo fa due più due concetti per me incomprensibili di  fisica. Gli piace la storia, l'enigmistica, si diverte a giocare con il doppio senso delle parole, risolve quesiti di logica. Non si stanca mai e mi travolge con le sue domande che spesso mi trovano smarrita. Ha saltato una classe perché il sistema scolastico italiano non permette di più. La nostra scuola mortifica le eccellenze, tende alla massificazione nell'ipocrita convinzione che tutti i bimbi siano uguali. In questi anni ho capito che l'intelligenza fa paura, fa più paura di un handicap. I bambini con difficoltà hanno, giustamente, un sostegno (adesso purtroppo sempre meno) ma per quelli plusdotati non c'è nessun tipo di aiuto. In Olanda esistono libri di testo differenti per questi bimbi. Abbiamo chiesto aiuto all'Aistap, un'associazione  che si occupa dello sviluppo del talento e della plusdotazione,  che segue noi genitori e aiuta le maestre a “gestire” la sua voglia di sapere sempre di più . Andrea frequenta la terza elementare ma il giorno stesso in cui ha ricevuto l'eserciziario di matematica lo ha completato. Conosce già tutto il programma scolastico, risolve i problemi mentre la maestra li detta, finisce i compiti in un  secondo. A volte penso alla frustrazione che prova nel ripetere per l'ennesima volta tabelline mentre lui è capace di fare le equazioni. Abbiamo scelto di lasciarlo a scuola il meno possibile. Il pomeriggio fa teatro, suona il piano, gioca a basket, impara l'inglese. Andrea è fortunato perché quando si annoia in classe, lo dice alle maestre ed è autorizzato a leggere i libri che gli interessano e che lui si porta da casa. È l'idolo dei suoi compagni, lo chiamano “genio” ma  io vorrei che crescesse come un bimbo della sua età.  Voglio proteggerlo dalla curiosità della gente, da quegli sguardi morbosi e anche da quelli bramosi che vorrebbero fare di lui un fenomeno da baraccone. Ed è per questo caro Andrea, che la mamma non firma questo articolo con il suo nome vero. Voglio proteggerti.  Ed è per questo, caro Andrea, che ti ripeto sempre di capire con la testa ma di guardare col cuore. Perché non vorrei che mentre il cervello fa acrobazie il tuo cuoricino ne restasse schiacciato. Voglio che guardando le stelle, oltre a chiamarle per nome, tu sappia sempre stupirti come quella volta che hai detto: «Le stelle sono gli occhi che il cielo spalanca di notte per vedere cosa succede sulla terra». di Francesca Medici

Dai blog