Immigrazione, Monsignor Mario Delpini: "Basta assistenzialismo con gli stranieri"
Arci-miracolo a Milano, visto che c' è di mezzo l' arcivescovo della Madonnina, l'innovazione al vecchio titolo del film di De Sica ci sta tutta. Al Pirellone, sede del Consiglio regionale, si aspettavano tutti, da monsignor Mario Delpini, una tirata alla Savonarola, una bastonatura al popolo ricco e ai suoi rappresentanti, com'è ormai costume dei pastori di grandi città europee ed italiane. Non è andata così. Non è stato neppure - sia chiaro - il ricamo elegante e colto di un adulatore. Tutt' altro. Si è usciti tutti come irrobustiti dalla voglia di fare, aprendo gli occhi dinanzi ad un' eredità che va riconquistata. Il titolo della lectio magistralis del dotto prelato è stato: «Elogio dell' umanesimo lombardo». Esso esige di essere all'erta. Leggi anche: "Da che parte sta Papa Francesco?": l'affondo di Vittorio Feltri Ascoltarlo, per chi c' era, è stato come immergersi nelle acque sorgive così lombarde o nei laghi prealpini. Retorica asciutta, quotidiana e alta. Le sorgenti antiche dei padri sono state riproposte misteriosamente fresche e sempre nuove. La tensione operosa e «capace di stupore» dell'«identità lombarda» (ha pronunciato questa formula senza schifarla quasi fosse lessico sovranista) può sfidare senza esasperazione i problemi di oggi: che sono quelli che state pensando tutti. Non sono un'immaginazione dei preti. Riguardano la famiglia nella sua sostanza tradizionale, e nei suoi bisogni di casa, lavoro, educazione, meno tasse, occhio ai giovani. CATTOLICESIMO LOMBARDO Interessantissime, esposte con piglio originale e non colpevolizzante, le indicazioni date sull' immigrazione. Con un afflato ambrosiano, pratico, senza radicalismi che spaccano la gente in due partiti: i buoni e i cattivi. Invece: «Buon senso», che è il prodotto sapienziale del cattolicesimo lombardo, fatto proprio anche dagli spiriti laici e socialisti. Delpini ha fatto vibrare l' aula con questa descrizione della Lombardia: «Quando lo sguardo e il pensiero percorre il territorio della Regione, ne resta incantato, per la sua bellezza, per la varietà del paesaggio, per la entusiasmante ricchezza delle attività, per l' indole dei suoi abitanti, operosi, ingegnosi, inclini alla solidarietà e all' intraprendenza, con una radicata fiducia nella provvidenza di Dio e una imprevedibile capacità di stupore, sotto un cielo così bello quando è bello. La laboriosità creativa della nostra gente si è resa famosa per l' eccellenza dei suoi prodotti. Possiamo esserne fieri». La fierezza non chiama alla superbia, ma alla responsabilità e alla condivisione: «Non possiamo però ignorare il pericolo che la ricchezza comporta: diventa oggetto di un desiderio avido di possesso, diventa un idolo al quale sacrificare i principi dell' onestà, della legalità, dei valori dell' umanesimo lombardo». Occorre vigilanza per non consentire al cancro della corruzione di insediarsi nella società e nella politica. Qualche capitolo. Famiglia. «Da tempo si chiede che la politica consideri la famiglia un bene irrinunciabile per la società e ne promuova la serenità, che si favoriscano anche fiscalmente le famiglie che generano figli, che la questione della casa, delle case popolari in particolare, sia adeguatamente affrontata». Lavoro: «Occorre stimolare la politica nazionale, immaginando soluzioni regionali che, insieme a imprenditori, organizzazioni sindacali e associazioni, sappiano provocare quel salto di qualità che tante famiglie e tanti disoccupati o male occupati si attendono». Non astratto centralismo, ma concreto regionalismo comunitario, sussidiarietà, autonomia. Immigrazione: «Dobbiamo liberarci dalla logica del puro pronto soccorso; dobbiamo andare oltre le pratiche assistenzialistiche mortificanti per chi le offre e per chi le riceve, anche oltre una interpretazione che intenda "integrazione" come "omologazione" (alla francese, ndr). Si tratta di dare volto, voce e parola alla convivialità delle differenze, passando dalla logica del misconoscimento alla profezia del riconoscimento. Siamo chiamati a guardare con fiducia alla possibilità di dare volto a una società plurale in cui i tratti identitari delle culture contribuiscano a un umanesimo inedito e promettente; siamo chiamati mostrare come le nostre tradizioni, la nostra identità lombarda e ambrosiana è così ricca di valori e dimensioni da dar vita a riedizioni inedite e inaspettate delle nostre radici». CULTURA DEL LAVORO Marchiamo questi concetti: non più pronto soccorso, basta assistenzialismo, ma integrazione che in Lombardia vuol dire cultura del lavoro. Identità nelle differenze. Come il risotto, scrisse Guido Piovene, dove i chicchi sono mantecati, uniti e però distinti. Integrati all' onda nel brodo lombardo. Con la solita umiltà, che giunse persino a individuare nel suo nome di battesimo, Mario, il segno della propria piccolezza, l' Arcivescovo si pone come «profeta minore», e si paragona non a Isaia o Elia, ma ritiene al massimo di immedesimarsi in un Carneade biblico, lo sconosciuto Aggeo terza fila della schiera biblica, che disse al popolo deluso e scoraggiato una meravigliosa sillaba esortativa: «Su!». Ecco Delpini mettersi su questa scia di semplicità: «Io mi permetto di rivolgermi a questa assemblea e al popolo di Lombardia con le sue stesse parole: "Su, ora coraggio, popolo tutto del paese, e al lavoro, perché Io sono con voi... il mio Spirito sarà con voi, non temete!". Quel patrimonio di valori, di stili di vita, di tratti caratteristici che ho chiamato umanesimo lombardo è un patrimonio di cui siamo riconoscenti, non nostalgici, è una risorsa per cui possiamo essere fiduciosi, non orgogliosi, è una responsabilità che impegna a servire e a condividere». Sul libro d' onore della Regione, che compie 50 anni, ha scritto: «Sono lombardo, figlio di lombardi, fiero dell' umanesimo lombardo e perciò umile, riconoscente, animato da senso di responsabilità, perché ho molto ricevuto da ogni cultura». Bello, c' è molto del cardinal Borromeo. Molto del Duomo di Milano. Che punta in alto con la guglia della Madonnina d' oro. Ma che non ha la verticalità radicale del gotico nord-europeo. La facciata è più larga che alta, unicità assoluta e milanese, le statue sono 3.600, senza confusione, senza "pastrugni", ognuno al suo lavoro. di Renato Farina