Papa Francesco, la lezione di don Giuseppe Dorma: "Perché sono vicino alle famiglie del tabaccaio e del ladro"
Pubblichiamo la rettifica di don Beppe Dorma all'articolo pubblicato da Libero. Siamo al termine di un fine settimana in cui due famiglie hanno vissuto, seppur in modo diverso, una grande tragedia. Un giovane è stato ucciso. Si sono susseguiti pronunciamenti scritti e parlati, nei social, nei giornali, nelle radio e televisioni. Ognuno ha detto o scritto il proprio punto di vista. A volte le interviste nei media sono state riportate in modo parziale e incompleto e non sempre il pensiero è stato bene espresso con le parole, come è capitato nel titolo e nel testo di questo vostro articolo, pubblicato il 10 giugno su Libero a pagina 3. È il momento forse di lasciare spazio a un po' di silenzio. Stare vicini con il pensiero e la solidarietà e, per chi ha fede, anche con la preghiera, ad ambedue le famiglie. Possano avere la lucidità, la saggezza e la forza necessaria per elaborare l'evento tragico e guardare avanti. Nessun omicidio è in alcun modo da benedire né da giustificare: questo nessun catechismo l'ha mai insegnato né lo insegnerà mai. Il rispetto per la vita è sempre un valore che va al di là di ogni idealismo o situazione drammatica in cui ci si può trovare. Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, rileva che «c'è un'ondata di pensiero che si è diffusa. E che la nuova legge in tema di legittima difesa ha ulteriormente incoraggiato e promosso. Ciò è dovuto al fatto che si sta diffondendo un pensiero anti umanitario. Che è il contrario della parola umanitaria. Un pensiero che ti fa dire: prima di tutto ci sono io e gli altri sono niente. Ecco tutto questo porta a conseguenze che talvolta possono essere estreme. Esattamente il pensiero anti umanitario ti fa dire: Se qualcuno viene contro di me ho il diritto di fare tutto. Giustifica tutto».Parole che io condivido pienamente. «Stare vicini a una persona vittima di una tragedia (scrive un pavonese) non porta necessariamente a risvegliare gli istinti primordiali che abitano il nostro animo». Vorremmo stare vicini alle due famiglie perché ambedue sono state tragicamente toccate e ambedue sono nella sofferenza, anche se con sentimenti e modi diversi. Non vado controcorrente agli orientamenti e linee proposte dalla Chiesa italiana sui vari aspetti della vita e convivenza umana. Non ho mai assimilato il Vangelo né lo farò mai, con l'uso della forza, legittimo o meno. Di seguito, l'articolo pubblicato da Libero: Menomale che ci sono preti come don Beppe Dorma, menomale che il cristianesimo riesce a resistere nelle periferie tanto evocate da Bergoglio ma in realtà tanto dimenticate a vantaggio della Curia e dei suoi proclami. Proprio là, nei paesi di provincia, dove il parroco è ancora una delle figure più rappresentative della comunità, sopravvive un cattolicesimo autentico che ascolta i bisogni della gente ed è capace di dire cose di buon senso lontane dal buonismo. Leggi anche: "Se il ladro avesse fatto il muratore...". Salvini, una incontestabile (e dolorosa) verità In questo coro di preti si inserisce don Beppe, parroco di Pavone Canavese, il paese in provincia di Torino dove tre giorni fa il tabaccaio Marcellino Iachi Bonvin, per tutti Franco, ha sparato a un rapinatore moldavo uccidendolo. Ieri, durante la messa, don Beppe avrebbe potuto esprimere parole di condanna per l' uccisione di quell' uomo e dire no all' uso delle armi a prescindere. E invece ha preferito manifestare vicinanza al tabaccaio, facendo un appello affinché la sicurezza nelle nostre città aumenti. «Nel giorno della Pentecoste vogliamo essere vicini a Franco e alla sua famiglia», ha detto. «Preghiamo perché lo Spirito Santo dia a Franco la sapienza, la luce e l' intelletto per vivere questo momento tragico». D' altronde, già all' indomani della rapina il parroco aveva descritto Franco come «buon marito, ottimo padre di famiglia, grande lavoratore, onesto e sincero». E, a margine della celebrazione di ieri, don Beppe evidenziava la ragione per cui le persone spesso sono costrette a difendersi da sole: «La gente vuole sentirsi sicura ed è compito dello Stato garantirgli questa sicurezza. Se ci fossero più forze dell' ordine e fossero dotate degli strumenti necessari, nessuno si difenderebbe da solo e non ci sarebbe bisogno di una legge sulla legittima difesa». Nel frattempo, è il sottinteso, difendersi da sé resta una possibilità lecita, a volte una necessità. I soliti ultimi - Quando senti dei preti parlare così, capisci quanto la Chiesa abbia bisogno di uomini attenti non più agli interessi dei soliti "ultimi" - i migranti, i rom, i criminali che delinquono perché poveri - cui estendere la propria misericordia; ma di pastori che difendano i cittadini perbene, i padri di famiglia e i lavoratori esasperati, gli uomini e le donne che si sentono minacciati nella propria incolumità. È singolare infatti che nel giorno in cui i vescovi laziali lanciavano un' iniziativa buonista, con tanto di "Lettera ai fedeli", per dedicare il giorno di Pentecoste all' accoglienza dei migranti, don Beppe decideva di andare controcorrente, di destinare un pensiero e una preghiera a Franco. E di entrare così in sintonia con i fedeli, visto che in paese tutti gli abitanti sono dalla parte del tabaccaio cui domani dedicheranno una fiaccolata. Ma ciò non significa che don Beppe si sia limitato, in modo "populista", ad assecondare il sentimento delle persone. Lui piuttosto si è adeguato al dettato del Catechismo della Chiesa Cattolica secondo cui «la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere» e «chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio, anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale». Il parroco di Pavone Canavese, insomma, ha seguito il Vangelo, si è attenuto alla dottrina, a partire da una considerazione di ordine filosofico-teologico: se la Vita è il Bene inviolabile per eccellenza, è possibile ricorrere a tutti i mezzi affinché essa non venga violata. Da questo punto di vista, la legittima difesa non solo non è un reato, ma neppure un peccato. E armarsi e amarsi diventano due declinazioni dello stesso Bene. E così, mentre gli alti prelati in Vaticano chiedono porte e porti aperti, condannano le armi e quasi si vergognano di rosari e crocifissi, don Beppe risponde con più sicurezza, uso legittimo della forza e sequela del Vangelo. No, non è un salviniano, è semplicemente un cristiano. di Gianluca Veneziani