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Matteo Salvini e Ramy, quello che non si sapeva: perché non gli dà la cittadinanza, il brutto sospetto

Giulio Bucchi
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Niente cittadinanza a Ramy, almeno per ora. Tira dritto, Matteo Salvini, e nella polemica involontaria con il 13enne italo-egiziano piccolo eroe dell'autobus dirottato a San Donato Milanese mercoledì scorso il ministro degli Interni si lascia sfuggire qualcosa di grosso. "Le cittadinanze non le posso regalare, non sono biglietti per le giostre", ha spiegato Salvini, respingendo in un colpo il pressing del ragazzino, che dopo aver salvato i suoi 50 compagni di scuola sequestrati dall'autista-terrorista senegalese Ousseynou Sy si aspetta la cittadinanza italiana, e soprattutto quello del Pd che strumentalizza la vicenda ritirando fuori il tema Ius soli. Leggi anche: "Sono più italiani degli italiani. Ma...". Santanchè dalla Merlino, la verità brutale su Ramy e Adam L'alleato Luigi Di Maio è stato secco: "Quel bambino merita la cittadinanza perché gli va riconosciuto un merito civile, così come all'altro suo amico". Salvini respinge con garbo: "Stiamo facendo tutti gli approfondimenti del caso, evidentemente non sul ragazzino di 13 anni ma su altri, perché io la cittadinanza la concedo a chi ha la fedina penale pulita. Penso che tutti abbiano capito di cosa stia parlando". "Sarebbe sgradevole entrare nel merito", ma è necessario farlo: le "ombre e i dubbi" sono sul padre di Ramy: "Qualcuno la cittadinanza non l'ha chiesta e non l'ha ottenuta dopo 20 anni, fatevi una domanda e datevi una risposta sul perché - ammette ancora Salvini -. Conto di incontrare Ramy il prima possibile e di fare quello che la legge mi permette di fare e non faccio quello che la legge non mi permette di fare". 

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