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Benito Mussolini è stato l'unico a tagliare il debito pubblico degli italiani

Cristina Agostini
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«Se potessi avere mille lire al mese» cantava nel 1939 il maestro Mazzi. Che tempi. I telefoni bianchi al cinema e Amedeo Nazzari che minacciava la peste su chiunque non avesse avuto voglia di brindare con lui. L' Impero che era tornato sui Sette Colli e c' erano un po' di altre faccende fra le quali la più incredibile: l' Italia senza debito pubblico. Un evento abbastanza eccezionale considerando che da Quintino Sella in poi le finanze pubbliche sono sempre state sofferenti. Gli unici, però, che riuscirono a curarle davvero furono i ministri del Duce a cominciare da Giuseppe Volpi, poi conte di Misurata. La prima operazione risale al 1926 e blocca la crescita del debito . Un filmato dell' istituto Luce mostra il Duce che al Vittoriale brucia i buoni del tesoro. Il secondo intervento nel 1935 avvia il percorso di discesa. I CONSIGLI DI MENICHELLA - Su questa strada il Duce segue consigli di economisti che non amano certo la camicia nera: Donato Menichella, governatore della Banca d' Italia dopo Vincenzo Azzolini che negli anni dell' occupazione tedesca riesce a mettere in salvo i lingotti d' oro custoditi a Palazzo Koch. Oppure Alberto Beneduce che del fascismo non condivide nulla visto che ha chiamato le tre figlie: Vittoria Proletaria, Italia Libera e Idea Socialista poi sposata con Enrico Cuccia. Il fondatore di Mediobanca che, finché ha vissuto ha voluto che l' assemblea degli azionisti della banca si svolgesse il 28 ottobre anniversario della Marcia su Roma. Con quella scelta il banchiere siciliano voleva indicare che il 28 ottobre era un giorno lavorativo come un altro. I governi dell' Italia repubblicana hanno potuto usare ed abusare del bilancio dello Stato grazie al lavoro sporco fatto dal Duce e dai suoi collaboratori molti dei quali anti-fascisti dichiarati. Leggi anche: La Mussolini abbatte la Raggi: "I pini fascisti roba da Tso. La vuoi sapere la verità sul Duce?". Ko tecnico La storia comincia nel novembre del '26 con il "Prestito del Littorio". Buoni del Tesoro con rendimento 5% e senza scadenza da scambiare con vecchi certificati settennali. Un' operazione da 20,4 miliardi, che si dimostrò un disastro. I titoli in pochi mesi perdettero circa il 30% perché i nuovi certificati, benché offerti con un piccolo premio subirono un forte deprezzamento. Per i risparmiatori un vero bagno di sangue, ma anche alcune istituzioni (come la Banca d' Italia, le Casse di risparmio e l' Ina) furono penalizzate perché obbligate a comperare quei titoli. Nel '34, con un nuovo decreto, Mussolini stabilì la conversione del Littorio in nuove obbligazioni con durata venticinquennale e rendimento 3,5 %. Molti privati tentarono di farsi rimborsare i vecchi titoli, ma il Tesoro accolse solo poche richieste e la conversione fu di fatto obbligatoria. La perdita di credibilità, in entrambi i casi, fu enorme, ma dopo qualche anno il Duce ottenne nuovo credito, grazie alla propaganda e ai risultati comunque raggiunti. IL RISANAMENTO - Il primo consolidamento, ad esempio, fu annunciato come parte di un pacchetto di risanamento economico per raggiungere l' obiettivo (centrato) della "quota 90", cioè la parità con la sterlina precedente alla prima guerra mondiale. Un obiettivo buono per la propaganda. Devastante per l' economia. Il lavoro del Duce fu completato dalla Repubblica con l' iperinflazione dopo la guerra. Tecnicamente non è un consolidamento, ma produce gli stessi effetti. Con una scelta dei tempi a dir poco sospetta, l' allora ministro delle Finanze Marcello Soleri lanciò il Prestito della ricostruzione, un titolo trentennale con rendimento 3,5% (poi portato al 5). Nessuna conversione forzosa ma il tasso offerto era buono e i risparmiatori corsero a sottoscrivere. Quasi contemporaneamente furono tolti i vincoli amministrativi sui prezzi e alla fine del '47 l' inflazione superò il 100%. Risultato, il Prestito divenne carta straccia così come tutti i buoni del Tesoro emessi dal Duce. Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d' Italia, nelle Considerazioni finali del '47 ammise: «Potevamo stroncare l' inflazione, non l' abbiamo fatto perché lo Stato ci guadagnava». di Nino Sunseri

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