Massimo Bossetti, la voce che scuote la Cassazione: "vizio procedurale", cosa può ribaltare il verdetto
Seicentodieci pagine, le ultime seicentodieci pagine che possono salvare Massimo Bossetti. Sono racchiuse qui, tra una riga e l'altra, le speranze di libertà del muratore di 48 anni condannato all'ergastolo in primo e secondo grado per l'omicidio di Yara Gambirasio, la ragazzina di 13 anni scomparsa da Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010 e trovata morta in un campo di Chignolo d'Isola esattamente tre mesi dopo. Seicentodieci pagine di ricorso e 23 motivi di impugnazione della sentenza che Claudio Salvagni e Paolo Camporini, i legali dell'uomo rinchiuso in carcere da 1579 giorni, hanno preparato per l'ultimo atto giudiziario: l'udienza in Corte di Cassazione (un giudizio di legittimità: i giudici saranno chiamati ad esprimersi “in diritto” e non “in fatto”, verificando il rispetto delle norme nei gradi di giudizio precedenti) in programma questa mattina a Roma, il tentativo finale di ribaltare un duplice verdetto di colpevolezza. Leggi anche: Massimo Bossetti, l'ultimo drammatico sfogo in carcere QUESTIONE DNA L'argomento di discussione principale, quello su cui si basa la contestazione della difesa, è ovviamente il Dna e la super perizia mai concessa. Tutti i giudici che si sono occupati finora del caso, sia in sede cautelare sia a processo, hanno dato parere favorevole sulla validità di quelle tracce di patrimonio genetico - attribuite a Bossetti - ritrovate sui leggings e sugli slip di Yara. E di conseguenza hanno stabilito la colpevolezza del muratore. «È andata così - ha spiegato qualche giorno fa l'avvocato Claudio Salvagni - perché finora questo è stato un processo all'indagine genetica più importante della storia d'Italia, che la pubblica accusa vuole difendere a ogni costo. Non è stato un processo a Massimo Bossetti, questo è il problema. Ho sempre sostenuto che fosse un caso squisitamente da Corte di Cassazione, dove i giudici sono tutti togati. Nel ricorso insistiamo su macroscopiche violazioni procedurali, che però sono anche sostanza. Da quando Bossetti è stato indagato tutti i giudici, tutti, hanno negato una nuova perizia sul Dna, nonostante i consulenti dell'accusa sia del San Raffaele sia dell'Università di Pavia abbiano affermato che c'è materiale su cui procedere a nuove analisi. Inoltre il dato finale, secondo noi, è stato ottenuto senza il rispetto dei protocolli previsti dalla comunità scientifica internazionale, ad esempio con l'utilizzo di kit scaduti per il Dna. Senza dimenticare che l'accusa afferma di aver trovato la componente nucleare del Dna, ma non quella mitocondriale». IL CASO DI PERUGIA Una serie di contestazioni già portate dalla difesa nei primi due gradi di giudizio, ma finora non considerate. «Ora però c'è un'integrazione con una serie di elementi - ha precisato sempre Salvagni - che stigmatizzano ancora di più le falle procedurali, in particolare prendendo spunto da tutta una lista di sentenze della Corte europea dei diritti dell'Uomo che definiscono una serie di criteri a tutela degli imputati». Ecco perché la difesa citerà anche il processo per l'omicidio di Meredith Kercher (la studentessa inglese uccisa a Perugia l'1 novembre 2007) finito in Cassazione con l'assoluzione di Raffaele Sollecito e Amanda Knox: «Quel documento - cita l'avvocato di Bossetti - sostiene che l'indagine genetica condotta senza il rispetto delle linee guida internazionali produce un risultato che non è considerabile neppure un indizio». I ventitré motivi proposti per cercare di ribaltare una sentenza difficilmente ribaltabile riguardano il Dna (la Corte di Appello dice che è di Bossetti, che ha un elevato numero di marcatori cromosomici e che c'è un'elevata affidabilità della traccia, mentre la difesa controbatte che non è del muratore, che sono stati utilizzati kit scaduti, che non sono state rispettate le Best practice, che c'è il rischio contaminazione e che manca la corrispondenza del Dna mitocondriale), ma non solo. LE TRE POSSIBILITÀ Le contestazioni di Salvagni e Camporini riguardano anche la perizia, i tabulati telefonici («Non hanno valore: Bossetti passava sempre da Brembate Sopra»), il video dell'autocarro che gira attorno alla palestra («Non è il suo. E ce ne sono altri così»), le fibre dei sedili, le sfere a la calce (secondo l'accusa le tracce sulla vittima sono compatibili con quelle presenti nel mezzo dell'imputato e che rimandano al mondo dell'edilizia; per la difesa invece «Non c'è prova che corrispondano a quelle dell'autocarro, quindi non portano all'imputato»). Massimo Bossetti oggi non sarà in aula, però idealmente si aggrapperà con tutte le sue forze a queste seicentodieci pagine sapendo che sono l'ultima, definitiva speranza di salvezza. Altrimenti c'è la galera a vita. Il muratore sarà giudicato da un collegio di cinque magistrati presieduto dal giudice Adriano Iasillo: gli ermellini potranno confermare la condanna, oppure annullarla con rinvio ad altra Corte d'appello per un nuovo processo, o senza rinvio. di Alessandro Dell'Orto