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Cassazione: niente carcere per i mafiosi malati

Un capo della 'ndrangheta si era rivolto alla Suprema Corte chiedendo di scontare la pena ai domiciliari perché ammalato e depresso

Nicoletta Orlandi Posti
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No al 'carcere duro' per i boss affetti da gravissime malattie. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione che oggi ha accolto il ricorso di Filiberto Maisano, 81 anni, ritenuto un capomafia della 'ndrangheta reggina, per il quale l'allora ministro Giustizia Angelino Alfano nel dicembre 2010 dispose il regime carcerario del 41 bis. Maisano è detenuto nel carcere di Novara e si è rivolto alla Cassazione per chiedere di modificare la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ''per gravi motivi di salute''. Piazza Cavour ha accolto il suo ricorso e ha disposto un nuovo esame davanti al Tribunale della Libertà di Reggio Calabria. In particolare, la Suprema Corte sottolinea che ''le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita''' e che anche quando si è in presenza di esponenti di spicco della criminalità, è necessario equilibrare '' le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione''. Maisano, come sottolinea la sentenza 43890, presenta ''un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche'' che nel tempo lo hanno portato anche alla depressione.

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