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Riso Carnaroli, l'inganno finisce in tavola: ecco cosa vi mangiate davvero

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Davide Locano
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Il riso è protagonista di uno dei più grandi inganni nella storia alimentare italiana. Un inganno che parte da lontano, dal 1958, quando venne approvata la legge sul commercio interno del riso, una disciplina recentemente ribadita dal Decreto Legislativo 131 del 4 agosto 2017. In sostanza varietà diverse del cereale bianco, possono essere vendute con una medesima denominazione, se il chicco ha più o meno lo stesso aspetto e la stessa dimensione. Il principio che indusse i legislatori a codificare questo meccanismo era quello della semplificazione. L'effetto è devastante. Ogni anno, i ministri delle Politiche Agricole e dello Sviluppo economico, pubblicano un decreto attuativo della norma, aggiornando le varietà comprese nell'elenco. Nella colonna di sinistra compaiono i «risoni». Nella colonna di destra la denominazione dei risi raffinati che il risone può assumere. Inutile dire che sull'etichetta finisce sempre la denominazione della specie più pregiata. Per comodità, nella tabella che compare in pagina ho invertito le colonne, ma il risultato non cambia. A PROVA DI ETICHETTA Alla fine l'inganno finisce prima nel carrello della spesa, poi nel piatto. Ed è perfetto. Per i consumatori è praticamente impossibile capire se la scatola di riso che trovano sul bancone del supermercato contenga vero Carnaroli oppure un «similare», ad esempio Karnak, Carnise, Poseidone o Caravaggio. Per quanto leggano attentamente l'etichettatura del cereale che si apprestano ad acquistare non troveranno nulla che sveli loro la sua reale identità. È tutto legale. In regola con le norme vigenti. E per una volta l'Unione europea non c'entra nulla. Inutile dire che le varietà similari, hanno invariabilmente un costo di produzione inferiore, una resa maggiore e quindi assicurano dei margini di guadagno molto più ampi rispetto all'originale.Nel caso del Carnaroli, definito il «principe dei risotti» per le qualità organolettiche e la capacità di non scuocere, la differenza è abissale. Se al supermercato costa 3 euro al chilo, il vero Carnaroli si paga anche 6. Leggi anche: L'Europa impone la truffa in tavola: le etichette tricolore... Ma proprio la varietà di riso selezionata nel 1945 dall'agronomo Angelo De Vecchi è al centro di una importante operazione di recupero avviata dalla Camera di Commercio di Pavia e sostenuta da un progetto di rilancio (Pop al Top, i Chicchi delle Meraviglie) condotto dalla Federazione pavese di Coldiretti, l'Ascom di Pavia e il Consorzio tutela vini dell'Oltrepò. La notizia importante per i consumatori è che ora è possibile riconoscere la varietà autentica, etichettata come Carnaroli da Carnaroli pavese, e identificata da un marchio collettivo depositato. «Se il consumatore trova sulla scatola il marchio Carnaroli da Carnaroli pavese può essere sicuro del riso che sta acquistando – spiega a Libero Stefano Greppi, presidente di Coldiretti Pavia – il Carnaroli originale viene ancora coltivato dai risicoltori italiani: in provincia di Pavia si trovano 6mila dei 9mila ettari seminati in tutta Italia». CERTIFICAZIONE Da quel che mi risulta si tratta della prima iniziativa di questa portata, destinata a fare chiarezza nel gigantesco inganno legalizzato dalla legge sul mercato interno del riso. «Per questo è nato il progetto Carnaroli da Carnaroli Pavese – conferma Greppi – attraverso un percorso di certificazione di filiera Iso 22005 realizzato da un ente esterno e indipendente, questo marchio depositato garantisce che in quella scatola ci sia soltanto riso Carnaroli da semente Carnaroli coltivato in provincia di Pavia. Uno dei prodotti agroalimentari di punta del nostro territorio». I produttori del vero Carnaroli Pavese sono in tutto 28 e il loro elenco si trova sul sito ufficiale Carnarolidacarnaroli.it. Per ora chi volesse gustare l'originale e non i similari non ha altra scelta che acquistarlo dai risicoltori che lo coltivano. Nella grande distribuzione si trovano esclusivamente i cloni. Come accade per le altre varietà in purezza. Una iniziativa simile ha riguardato l'Arborio, che nel mercato di massa viene confuso con il Volano e il Vulcano. Quello in purezza ha ottenuto il riconoscimento Igp (Indicazione geografica protetta) ed è coltivato da Grandi Riso nel delta del Po. di Attilio Barbieri

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