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Avvocati, padri separati, precariIn coda per un pezzo di pane:ecco piazza San Babila di notte

La coda dei

A Milano, sotto i portici, decine di "nuovi poveri" in cerca di aiuto. "Noi vittime della crisi". Dai City Angels cibo e vestiti

Nicoletta Orlandi Posti
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C'è una città che riemerge quando negozi e uffici chiudono e le strade si svuotano. È la Milano affamata, che si mette in fila per un panino dove un tempo c'erano i paninari che ostentavano abiti griffati. Piazza San Babila, che di giorno è attraversata da soldi e glamour, di sera diventa il punto di ritrovo dei poveri che chiedono cibo e abiti ai City Angels. Un popolo di disperati (quasi 100 a sera) variegato e rivelatore della situazione economica. Ci sono senzatetto di lunga data, tanti ragazzi dell'est Europa, diseredati, venditori cingalesi, ma anche padri separati, lavoratori part-time che non arrivano a fine mese, mamme in difficoltà. Barboni e vicini di casa insospettabili.  C'è Paolo, che indossa un completo di alta sartoria, una cravatta di Marinella e mocassini da fare invidia.  È un uomo alto, distinto, ha un buon profumo, e quando si avvicina alla fila di affamati che attendono il loro turno davanti al furgoncino dei City Angels, tutti immaginano che passi oltre lanciando uno sguardo di disprezzo. Invece si mette in coda, chiacchiera con gli altri, aspetta il suo turno per la busta con il cibo: latte, riso, brioche, panino col formaggio o salame. Accanto a lui ci sono un ragazzo romeno con i pantaloni sporchi e strappati, una donna che tossisce rumorosamente, e un venditore di rose che non si regge in piedi dalla stanchezza. Tutti i loro vestiti (e ciò che hanno nelle tasche) non valgono quanto la sola giacca di Paolo. Eppure nessuno lo guarda con sorpresa. Chi vive la strada sa riconoscere la sofferenza anche se nascosta sotto abiti firmati. Paolo dice di essere un avvocato e parlando con lui appare evidente che non sta mentendo. Elfo, nome in codice del volontario che guida la squadra, cerca di raccogliere qualche indizio. La conversazione è come un tango, con un passo indietro per farne  due in avanti. Quando Elfo si accorge che si sta spingendo oltre rallenta, e allora Paolo si scioglie. Dice che è stato segretario particolare di un sottosegretario a Roma, che ha conosciuto Raul Gardini quando lavorava a Milano, che aveva così tanti soldi che nelle boutique di via Condotti lo conoscevano per nome, che aveva una Porsche 911. Poi, 4-5 anni fa, «un inciampo della vita». Da un giorno all'altro gli confiscano tutto (non ci spiega perché) e gli restano solo i vestiti, la memoria e la sua professione. Dove tieni gli abiti, chiede Elfo. «Vivo in un monolocale dietro la Scala che mi è stato messo a disposizione da un vecchio cliente. Però la ripresa è difficile, questa busta mi aiuta molto. Come diceva Gianni Agnelli “la vittoria ha cento padri, la sconfitta è orfana”. Significa che quando va bene hai tanti amici, quando perdi sei solo. E io lo so bene. Ora scusate, vado a salutare Marco».  Marco avrà 50 anni, camicia e gran sorriso. A vederli sembrano due bancari nell'ora di pranzo. L'avvocato gli regala il suo latte perché «tu ne hai più bisogno». Marco sorride e porta a casa. «Domani lavoro, faccio solo 4 ore come custode di un albergo. Non arrivo a fine mese, ho bisogno di un aiuto». Dietro di loro c'è Luc, «apolide e con mille patrie». Forse un matto, forse un illuminato. Arriva dalla Romania e va in giro in bicicletta, a volte indossando una veste   su cui ha disegnato lo stemma dei cavalieri dell'ordine di Malta. «Loro - e indica i volontari - sono angeli veri. Dio, qualunque sia, li benedica».     Olga, invece, gode di un servizio a domicilio. Riposa su un letto di materassi bassi posati sulle grate della metropolitana Duomo, una sorta di pompa di calore sotto le stelle. «Oggi sono andata dal parrucchiere. Taglio e piega 45 euro», racconta. È arrivata anni fa dalla Bielorussa per seguire un amore, sfidando l'ostilità della madre del suo uomo. Una battaglia che ha perso e che l'ha spinta in strada, dove è invecchiata prima e peggio dei suoi coetanei quarantenni. «Oggi ho comprato un anello», e scava tra le mille borse che la circondano. Tira fuori un anellino blu di plastica. «Sapete, è passato un ragazzo di colore che mi sembrava in difficoltà e gli ho dato 3 euro». Detta così, senza aver visto come vive Olga, questa frase ha meno valore. I volontari sorridono al pensiero che il cuore della donna sia meno duro di molti altri, ma quando racconta la storia del filetto di maiale c'è qualcuno che quasi si commuove. «Dei ragazzi che lavorano in un ristorante qui vicino mi hanno regalato un filetto di maiale alla salsa verde. Era buonissimo, anche se un po' pesante. Ne ho mangiato metà, poi ho visto dei piccioni affamati e l'ho diviso con loro. Mi facevano tenerezza».  Prima di andare via una volontaria le regala una borsa di plastica dura con delle rose stampate sopra. Lei la osserva, la prende e con lo sguardo più serio del mondo le dice: «Questa è la borsa più bella che abbia mai visto in vita mia. Grazie». Una bugia, detta per esprimere il massimo della riconoscenza per quel dono. Questa è Olga, la donnona all'apparenza scontrosa che vive all'ombra del Duomo. Milano è anche sua. di Salvatore Garzillo

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