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Tasse, ecco i sindaci che ci massacrano di più

Giuliano Pisapia, sindaco di Milano

Dal 2010 oltre la metà dei capoluoghi ha aumentato le accise locali. Quelli che picchiano più duro? I rossi/arancioni a Milano, Napoli, Palermo e Genova

Giulio Bucchi
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Negli ultimi tre anni sette sindaci su dieci di un comune capoluogo di provincia hanno aumentato le tasse ai loro cittadini o comunque le hanno portate al massimo possibile. Ad averle proprio aumentate, talvolta raggiungendo il massimo consentito dalla legge, sono stati 65 sindaci su 117. Altri 19 però hanno conservato l'aliquota massima consentita dalla legge per l'addizionale Irpef comunale, e cioè lo 0,8%. In un caso - quello di Roma,  l'aliquota è più alta del massimo (0,9%), ed è la tassa indiretta che ha lasciato agli abitanti della capitale l'allora primo cittadino Walter Veltroni: per salvare la città dal crack in cui era stata lasciata nel 2008, il governo è intervenuto sui conti di Roma con un maxi prestito, imponendo però per legge l'aumento dallo 0,8 allo 0,9% dell'addizionale Irpef. È avvenuto con Gianni Alemanno sindaco, e non l'ha toccata nel 2013 il suo successore, Ignazio Marino, anche perché non gli sarebbe possibile farlo. Mosche bianche - Due soli sindaci sui 117 hanno invece abbassato le tasse in questi tre anni. Uno è di centro sinistra: Matteo Renzi, che ha fatto scendere l'addizionale di Firenze dallo 0,3% allo 0,2%. L'altro è di centrodestra: il sindaco di Gorizia Ettore Romoli (già parlamentare di Forza Italia), che l'ha fatta scendere dallo 0,1% a zero proprio nel 2013. Lui è il solo sindaco di Italia che ha azzerato la tassa comunale. Curiosamente Romoli e Renzi sono uniti anche dalle origini: entrambi hanno avuto i natali a Firenze, città forse refrattaria alle troppe tasse. Ma due su 117 sono davvero pochissimi, tanto più che quasi tutti i 65 sindaci tassatori hanno deciso di aumentare e in non pochi casi perfino raddoppiare il loro prelievo proprio a cavallo fra il 2011 e il 2012, quando i loro cittadini erano già presi a sberloni dal fisco nazionale grazie alla raffica di tasse fatte calare sulla loro testa dall'allora premier Mario Monti. Una scelta sadica, che però è lo specchio di gran parte della classe dirigente politica italiana: non sono capaci a fare gli amministratori pubblici e quando si trovano in difficoltà l'unica idea che viene loro in mente è la più facile di tutti: alzare le tasse sui loro cittadini.  Non c'è differenza in questa vocazione da Dracula fra vecchie volpi della politica e nuovi sindaci che dovevano essere la sorpresa di questi ultimi anni. E a dire il vero c'è poca differenza anche fra le bandiere politiche, nonostante i programmi elettorali dicessero spesso il contrario. Hanno aumentato la pressione fiscale 47 sindaci del centrosinistra e 18 di centrodestra, liste civiche e Movimento 5 stelle. Hanno comunque raggiunto la pressione fiscale massima consentita 13 sindaci di centrosinistra e 6 di centrodestra, liste civiche e M5s.  Il trucchetto - Fra il 2010 e il 2013 il modo migliore che alcuni primi cittadini hanno trovato per confondere un po' le idee ai loro elettori è stato quello di scopiazzare il sistema di tassazione nazionale, rendendo inutilmente progressiva anche l'aliquota locale (lo sarebbe comunque visto che si applica unita a quella nazionale). Per molti sindaci è stato solo un modo furbo di alzare un po' di polvere e aumentare la pressione fiscale cercando di fare un po' di confusione. Si prenda il caso di Giuliano Pisapia a Milano: i suoi cittadini avevano zero tasse comunali nel 2010. Nel 2011 è arrivata una addizionale dello 0,2% accompagnata da redditi esenti fino a 33.500 euro. Nel 2012 è cominciato il giochino della progressione: sempre redditi esenti fino a 33.500 euro, ma per chi guadagnava di più cinque aliquote: 0,1 (da 0 a 15 mila euro) /0,15 (da 15 a 28 mila euro) /0,3 (da 28 a 55 mila euro) /0,5 (da 55 a 75 mila euro) e 0,7% (sopra i 75 mila euro). Nel 2013 tutte quelle aliquote sono salite ancora: 0,2/0,3/0,4/0,6 e 0,8%.  Lo stesso identico giochino è servito a molti altri sindaci per aumentare le tasse. C'è chi l'ha fatto in questo modo, e chi invece è stato più chiaro con il semplice aumento dell'aliquota. Però fra il 2010 e il 2013 la pressione fiscale è esplosa nelle grandi città amministrate da tutti i nomi noti della politica locale. Aumentate le tasse nella Palermo di Leoluca Orlando (anche se il colpo basso è venuto dal commissario pochi giorni prima che lui entrasse in carica). Aumentate nella Torino di Piero Fassino, come nella Napoli di Luigi De Magistris, nella Genova di Marco Rossi Doria, nella Venezia di Giorgio Orsoni, nella Bari di Michele Emiliano, perfino nella Cagliari del giovane Massimo Zedda. Tutti specialisti nel rialzo dell'aliquota, campioni olimpici nella loro indifferenza per le tasche dei concittadini. E se l'esempio viene dall'alto, allora meglio preparare gli ombrelli. Sono bravissimi a strologare sulla necessità di abbassare la pressione fiscale, ma quando è toccato a loro si sono presi ben guardia dal razzolare come predicavano. Sì, parliamo proprio dei primi cittadini che oggi siedono su una poltrona di rango nel governo guidato da Enrico Letta. Avete presente gli infiniti discorsi a platee confindustriali o a commercianti e affini del ministro dello sviluppo Economico, Flavio Zanonato? Bene, nella Padova di cui era sindaco l'addizionale Irpef è cresciuta dallo 0,6% del 2010 al tetto massimo dello 0,8% del 2013. Un aumento di un terzo: se finiscono così le sue promesse, meglio per gli imprenditori fuggirsela a gambe levate e de localizzare prima che il fisco porti via loro anche le mutande.  Il caso Del Rio - Altro esempio luminoso è Graziano Del Rio, ora ministro ma prima sindaco di Reggio nell'Emilia e addirittura alla guida dell'Anci, l'associazione che riunisce tutti i comuni (e i tassatori) italiani. Lui ha scelto il metodo B: aumentare le tasse alzando un po' di polvere negli occhi per disorientare. Nel 2010 la sua Reggio aveva una aliquota per tutti allo 0,5%. Nel 2013 l'ha divisa in 5 scaglioni progressivi. Fino a 15 mila euro tutti esenti (come tre anni prima). Sopra i 15 mila euro di reddito lordo ora funziona così: aliquota dello 0,49% (sconto di un euro e mezzo) da zero a 15 mila euro. Poi aliquota dello 0,51% fra 15 mila e 28 mila euro (aumento di 15 euro).  Aliquota dello 0,78% fra 28 e 55 mila euro (aumento di 75,6 euro). Aliquota dello 0,79% fra 55 e 75 mila euro (aumento di 58 euro) e poi 0,8% (cioè il 60% in più) sopra i 75 mila euro. Una stangata. Terzo campione governativo il professionista del doppio incarico: sindaco in carica di Salerno e sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Letta. Altro formidabile parlatore e svento latore di buona politica: ma quando si è trattato di andare al sodo, giù tasse sulla testa dei suoi cittadini: l'addizionale Irpef comunale era dello 0,6% nel 2010, è diventata dello 0,8% (il massimo) nel 2013, aumentata quindi di un terzo.  Spiace che anche una delle più coccolate novità nel centrodestra, il formattatore del Pdl nonché sindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, al momento buono non abbia saputo fare altro che servire proprio questa minestra di tasse. Anche lui con il giochino della progressività. Nel 2010 a Pavia l'aliquota era dello 0,58% per tutti. Nel 2013 è dello 0,70% fino a 15 mila euro, dello 0,75% fra 15 e 28 mila euro, dello 0,76% fra 28 e 55 mila euro, dello 0,78% da lì a 75 mila euro, e dello 0,80% sopra quel tetto. Da Cattaneo ci si sarebbe attesa un po' di fantasia in più: non la stessa ricetta di Pisapia e Luigi De Magistris… di Franco Bechis        

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