No al trapianto, è italiana. Giada muore a 11 anni
La bambina stroncata dalla leucemia. La famiglia di un donatore Usa rifiutò: "Non è americana"
di Antonella Luppoli Giada Lunardon era una bambina di undici anni di Vallonara (Marostica) - un piccolo centro del Veneto - che così piccola è stata strappata all'amore di mamma Cinzia e papà Secondo da un male incurabile: la leucemia. La storia che stiamo per raccontare, oltre a essere molto triste ha del raccapricciante perché un donatore compatibile per Giada era stato trovato, ma poi il trapianto è sfumato. Perché? Per una banale motivazione che pesa oggi come un macigno. Quel no infatti ha spezzato la vita di una bambina nel pieno della sua fanciullezza, le ha impedito di diventare grande. Di leucemia oggi infatti si può guarire, occorre però fare il trapianto di midollo. Insomma, è necessario che qualcuno offra una parte di se stesso per l'altro. Il donatore di Giada, un americano, saputo che non si trattava di una sua connazionale si è però rifiutato di darle il midollo. Giada sarebbe dovuta rinascere, era la sua occasione, ma quella persona, a cui sarebbe stata grata a vita, ha preferito negargli questa opportunità e solo perché di nazionalità diversa. Può farlo? Tecnicamente al donatore è lasciata la più assoluta libertà, d'altronde è un gesto d'amore, nient'altro. Non ci sono regole ferree e rigidamente scritte quando si parla di cuore. Tra un malato italiano e uno americano si può avere il diritto di scegliere e lui ha preferito essere solidale con un suo connazionale. I genitori di Giada non si sono arresi e si sono dati da fare per cercare un nuovo donatore, ma il tempo intanto passava e le condizioni della piccola peggioravano. Qualche settimana fa hanno finalmente trovato in Germania qualcuno disposto a salvare la vita della ragazzina dal sorriso contagioso, ma quel sorriso aveva ormai iniziato a spegnersi e il suo essere debilitato non le ha permesso di sottoporsi all'intervento. Giada alla fine si è arresa, non ce l'ha fatta e ieri mattina nella frazione di Vallonara (Marostica), dove abitava e dove era conosciuta da tutti, è stato celebrato il suo funerale. La cittadina si è stretta intorno alla famiglia stimata e apprezzata da tutti, le persone del posto condividono il dolore accecante dei signori Lunardon e di Gioia, la sorellina di Giada. Ma oltre allo sconforto resta un pizzico di rabbia, perché se tutto fosse andato secondo i programmi e la generosità non fosse stata limitata, solo per il continente a «stelle e strisce», forse Giada avrebbe potuto continuare a vivere e oggi sarebbe su qualche spiaggia italiana a giocare insieme a suoi coetanei. Invece ieri mattina, nella chiesa del paesino d'origine faceva capolino la sua piccola bara bianca, Giada non c'è più. Un'occasione perduta non tanto e non solo per la famiglia Lunardon, ma anche e soprattutto per colui che ha deciso di essere arbitro del destino altrui. Non è la prima volta che succede qualcosa di simile, almeno in Italia. Due anni fa sempre il Veneto era stato teatro di una storia simile e struggente quasi quanto questa. Infatti, protagoniste della vicenda erano due sorelle, una ammalata di leucemia e una sana, una residente in Italia, a Padova, l'altra in Nuova Zelanda, a Auckland. La sorella in salute, dopo essersi sottoposta volontariamente al test di compatibilità, ha fatto sapere alla donna affetta da una grave forma di leucemia che non era disponibile al trapianto. Non se la sentiva di correre i rischi del caso - sono minimi, ma ci sono - neppure se rischiare vuol dire salvare la vita di una persona cara. Anche in quella occasione era stato ribadito dai numerosi esperti sentiti in merito che il gesto del donatore deve essere assolutamente libero e privo di qualsiasi costrizioni, nessuno può intervenire o influenzare una qualche modo una decisione così importante. A guidare i generosi deve essere solo il cuore, che a volte si imbatte nei limiti nazionali (come nel primo caso) o nella mancanza di informazione (come invece accade nel secondo). Da entrambe le circostanze trapela una certezza tristezza, un modo quantomeno discutibile di mettersi in gioco.