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Facebook e Amazon come Google: fatturano in Italia e pagano le tasse all'estero

Oltre a Google e al social, pure Amazon tenta lo slalom tra le regole imposte dall'Erario: i colossi cercano di sfuggire alla pressione fiscale

Sebastiano Solano
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Fatta la legge trovato l'inganno. Ad aver fatto proprio il vecchio adagio tutto italiano è stato, recentemente, Google: secondo il Fisco avrebbe 'dimenticato' di dichiarare 240 milioni di redditi (con un risparmio di 70 milioni di tasse) e Iva non pagata per 96 milioni di euro. Tra i colossi del web il motore di ricerca fondato da Larry Page non è il solo ad aver provato ad evitare i paletti dell'agenzia delle Entrate. Sotto la lente d'ingrandimento del Fisco italiano, infatti, sono finiti anche Facebook e Amazon. Nel 2012 quest'ultima ha pagato circa 950mila euro di tasse, mentre il social di Zuckerberg poco meno di 132mila euro. Il gioco, in tutti e tre i casi, è sempre lo stesso: giro di fatturazioni tra le sedi nazionali e la casa madre, solitamente con sede in Paesi a fiscalità agevolata come l'Irlanda. In pratica, la filiale italiana non fattura la pubblicità raccolta o le vendite realizzate in Italia, ma si limita a registrare come ricavi - a loro modo di vedere in maniera del tutto legale  - i servizi/prodotti a un'altra società del gruppo che ha sede legale in paesi dove la morsa del fisco è meno pressante. Un escamotage ai limiti della legalità per sfuggire all'opprimente sistema tributario italiano, dove la pressione fiscale reale, secondo recenti stime, per le imprese arriva al 53 per cento.

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