Il super poliziotto se nesbattendo la porta
Se ne è andato Giuseppe Procaccini, ma si sente profondamente offeso. Dopo quarant'anni di onorata carriera ha fatto gli scatoloni nel suo ufficio e ha chiuso la porta del suo ufficio al Vimininale con l'amaro in bocca. In questa assurda storia del dissidente kazako Ablyasov ha pagato solo lui. Per ora. Procaccini, senza che nessuno glielo chiedesse, ha presentato le sue dimissioni da Capo di Gabinetto del ministero dell'Interno, un posto che occupava dal 2008 prima con Maroni, confermato da Cancellieri e pure da Angelino Alfano. Se ne è andato, ma vuole che la sua versione si sappia. Il ministro, al contrario, e lo ha ribadito ieri alla Camera e al Senato, sostiene la sua estraneità ai fatti spiegando di essere stato informato a cose fatte da Emma Bonino. Procaccini racconta al Corriere come sono andate le cose: "Ho ricevuto l'ambasciatore kazako al Viminale perché me lo disse il ministro spiegandomi che era una cosa delicata. L'incontro finì tardi e quindi quella sera non ne parlai con nessuno. Ma lo feci il giorno dopo, spiegando al ministro che il diplomatico era venuto a parlare della ricerca di un latitante. Lo informai che avevo passato la pratica al prefetto Valeri". Cose tra l'altro lasciate anche scritte nel suo ultimo atto ufficiale, la lettera ad Alfano: "Le confermo che ho mantenuto una linearità istituzionale priva di ogni invasività, cercando di operare da tramite funzionale circa la presenza nel nostro Paese di un pericoloso latitante armato". È questo il nodo, spiega Fiorenza Sarzanini: il capo di gabinetto ribadisce che nessuno gli parlò del fatto che Mukhtar Ablyazov fosse un dissidente. Lo ribadisce adesso che ha deciso di farsi da parte: "Nessuno mi parlò mai dell'espulsione di sua moglie e di sua figlia. Anzi. Al termine del blitz Valeri mi comunicò che il latitante non era stato trovato e per me la vicenda si chiuse lì. Non sapevo nulla dell'espulsione. Nessuno mi ha informato di quanto accaduto relativamente alla pratica gestita dall'ufficio Immigrazioni". Se ne è andato Giuseppe Procaccini disgustato, con l'amaro in bocca e la delusione di non aver potuto onorare la promessa fatta al figlio in punto di morte. Nella lettera ad Alfano l'ex capo di gabinetto sottolinea il suo totale impegno personale profuso nel lavoro: "ciò mi ha sicuramente limitato nella mia dimensione familiare e ne ho sempre sofferto, soprattutto quando ho visto il mio amato figliolo Fabrizio andare pian piano via. Di lui ricordo che mi disse con un filo di voce: "Avrei voluto che tu fossi orgoglioso di me". Eppure io lo sono stato immensamente e spero che lui sappia quanto e nell'assistere al suo saluto gli ho promesso che avrei cercato di agire perché lui fosse orgoglioso di me. Anche questo è per me motivo di tormento e non posso non tenerne conto mentre vengo ingiustamente offeso".