Caso Ablyazov, altri misteri: quella nota in Questura, e la presenza del dissidente a Roma
Il ricercato era nella villa di Casal Palocco quarantotto ore prima del blitz. E spuntano pure gli israeliani.
Si infittisce di nuovi particolari il caso Ablyazov. Da una parte c'è una nota trasmessa dall'ambasciata kazaka alla questura di Roma, pubblicata dal Corriere della Sera, che alimenta dubbi sulla procedura che ha portato all'espulsione della moglie del dissidente e di sua figlia. Nel documento scovato da Fiorenza Sarzanini la donna viene infatti indicata con il suo nome da sposata e non con quello da nubile che invece era sul passaporto esibito di fronte ai poliziotti. Perché non fu chiesto alla Farnesina di fare accertamenti anche su questa identità? E perché l'Interpol prese per buone le informazioni fornite dai kazaki senza fare ulteriori riscontri? Anche perché nella nota l'ambasciata invita la questura di Roma a "identificare le persone che vivono nella villa (di cui forniscono l'indirizzo di Casal Palocco, ndr). Non è escluso", scrivono, "che conviva sua moglie, cittadina del kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966". Anche gli israeliani sulle tracce del dissidente - Ma è un altro il retroscena che lascia perplessi. E' il racconto fatto da uno 007 alla Stampa con il quale rivela di essere stato ingaggiato dagli israeliani per controllare le mosse e gli incontri di quello che lui riteneva essere un banchiere. Solo la sera del blitz, mentre era appostato nei pressi della villa di Casal Palocco, scoprì che l'uomo che aveva pedinato per giorni e che fino a 48 ore prima aveva visto in quella casa, era il dissidente kazako. "Ablyazov usciva raramente di casa", spiega l'investigatore privato Mario Trotta. "In tutto sarà capitato cinque volte. In due occasioni per andare al ristorante: ad Ostia, proprio il 18 maggio, due giorni dopo il suo compleanno, e l'ultima il 26 in un locale all'Infernetto. Le altre destinazioni? Il centro commerciale o la palestra vicino casa, che frequentava insieme alla moglie". Ad ingaggiarlo è stata un'agenzia di security israeliana. "Formalizzammo l'accordo il 18 maggio, ma già da un paio di giorni c'eravamo attivati. E nel giro di poche ore lo rintracciammo nella villetta in via di Casal Palocco", spiega. L'obiettivo delle ricerche era monitorare i movimenti dell'uomo. "Gli israeliani ci indicarono la zona dove ritenevano si trovasse - prosegue - Ci fornirono anche delle foto". "Ci spiegarono che era un banchiere, che gestiva ingenti flussi di capitali. Erano interessati alle sue frequentazioni proprio in relazione a possibili operazioni finanziarie". Agli israeliani, sottolinea Trotta, "chiesi assicurazioni sul fatto che la persona da monitorare non fosse un esponente di corpi diplomatici, di organismi internazionali ne' ricercato o latitante: me le diedero e accettai". La prima fase del lavoro, per la quale come riporta il quotidiano torinese fu pattuita una somma di 5mila euro, "durò circa dieci giorni e dal 28 maggio, giorno del blitz, non avemmo più notizie né contatti". La notte del blitz - Ulteriori particolari Trotta li rivela a Repubblica: Ablyazov "era tranquillo", senza il sentore di essere "spiato o in pericolo". L'investigatore assicura anche di non aver "mai avvertito la polizia italiana" e di aver relazionato solo l'agenzia israeliana. La sera del 28 maggio Trotta e il suo collaboratore, si legge su Repubblica, erano appostati davanti alla casa al momento del blitz. L'investigatore fu identificato da un poliziotto e nella notte consegnò in Questura tutto il materiale fino ad allora raccolto. In questa storia ci mancavano solo gli israeliani.