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Climbing, la morte del campione di 12 anniHa sbagliato il padre ad assecondarlo?

Tito Claudio Traversa

Il papà di Tito Claudio Traversa: "Non mi pento. Era la sua natura"

Nicoletta Orlandi Posti
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Si può morire a dodici anni mentre si zompetta sfidando la gravità tra le rocce? La morte del piccolo campione di free climbing Tito Claudio Traversa dopo tre giorni di coma lascia nel cuore tanta disperazione, ma anche tanti interrogativi. Non è mai accettabile veder morire in un bambino, ma di fronte ad una morte così la rabbia è tanta. E' facile dare la colpa ai genitori: senza il loro permesso la giovanissima promessa  italiana martedì scorso non si sarebbe arrampicato su quella parete di roccia alta 20 metri ad Orpierre, in Alta Provenza. Viene naturale puntare il dito contro il padre, Giovanni, anch'egli un rocciatorre, che riviveva con il suo unico figlio i tempi d'oro della sua attività sportiva.  A mente fredda però, riflette Alessandro dell'Orto su Libero, le accuse ai genitori di Tito Claudio appaiono assurde. Giovanni e Maria Traversa si sono comportati come si dovrebbero comportare tutti i genitori: hanno assecondato la più grande passione del figlio dodicenne, quella di arrampicarsi tra le rocce.  Al pari dei genitori di un ragazzino appassionato di pianoforte o di informatica.  Così si è comportato il padre di Valentino Rossi, Gabriele, ed oggi tutti acclamano il campione di motociclismo.  E di questo Giovanni Traversa, nonostante l'immenso dolore, ne è cosciente. “Mio figlio adorava scalare, non chiedete se sono pentito”, ha detto a Repubblica. Del resto era la sua natura che se repressa sarebbe comunque prima o poi ritornata a galla.  “Voglio diventare più bravo di te”, gli aveva detto Tito a otto anni quando,  durante una vacanza a Verdon aveva scoperto la sua passione. "E c'è riuscito. Ha fatto cose che per me erano impossibili”, racconta il signor Giovanni a Meo Ponte. Con le lacrime agli occhi gli confessa però che vuole vederci chiaro. Vuole capire cosa è successo: "Quella è una delle più belle falesie francesi ma è anche una delle più facili da arrampicare. Tito quando si riscaldava di solito affrontava salite ben più difficili. Voglio vedere con i miei occhi da dove è caduto”. Anche perchè l'attrezzatura era a posto.Tito era considerato una promessa del free climbing a livello mondiale ed aveva attirato attenzioni internazionali: “Ormai lo conoscevano ovunque. Un gruppo di arrampicatori bulgari", racconta Giovanni Traversa, "Ci ha fermato una volta perché volevano complimentarsi con lui. E un campione spagnolo, dopo avergli visto affrontare un passaggio particolarmente arduo adottando uno strano modo di incrociare le braccia, quando ci ha incontrato dopo la scalata lo ha chiamato, gli ha mostrato le braccia incrociate in quel modo urlando: 'Fuerte Tito, muy fuerte'. Ma Tito sapeva rapportarsi anche con quelli più piccoli di lui, non solo con i grandi. Aveva una pazienza infinita con i bimbi più piccoli, spiegava e rispiegava. Sempre allegro, sempre contento..”. Ora al padre Giovanni non resta che organizzare il rientro di Tito in Italia consapevole che la morte del figlio non è stata comunque vana: donando i suoi organi ha permesso a quattro ragazzini di vivere.

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