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Giangrande, parla Martina: "Amici di Libero, grazie per mio papà"

"E' felice ma sorpreso. Da carabiniere si è chiesto: che cosa abbiamo fatto per meritare tutto questo?". Aiutiamoli: aderisci alla nostra raccolta fondi

Giulio Bucchi
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di Annamaria Piacentini Martina, la figlia del brigadiere Giuseppe Giangrande gravemente ferito da Luigi Preiti domenica 28 aprile mentre prestava servizio davanti a Palazzo Chigi, resta sempre vicina al padre. Passa tutte le sue giornate nella clinica riabilitativa di Imola: «Se non lo faccio per lui, per chi lo devo fare?» ci dice.  Non le sfiora neanche la mente di tornare nella sua casa di Prato, il suo posto è lì, figlia di un eroe dei nostri giorni. Per le vostre donazioni:  Editoriale Libero srl, causale: Libero pro brigadiere ferito, IBAN: IT39 A 03069 09451 100000000890 Martina, partiamo subito con una domanda sulle attuali condizioni di papà. Che novità ci sono? «A livello respiratorio sta molto meglio, ha recuperato quasi il 90 per cento delle sue funzioni. Ha  subito la tracheotomia, ma i medici sono ottimisti. Ora riesce anche a nutrirsi con i cibi solidi, due giorni fa l'ho trovato che  mangiava la pasta. Ieri è venuto a trovarlo il prefetto, io lo rivedo nel pomeriggio. Gli devo portare un gelato». Un gelato? «Anzi un gelatone, come mi ha chiesto lui. Ha la bocca secca, i medici mi hanno detto che posso darglielo. Ogni volta che mi vede mi chiede: ma perché non torni a casa? Voglio stare con te, gli rispondo. Ora aspetto che inizi la riabilitazione e che migliori anche sul piano fisico. Da cattolica, sono convinta che Dio ci aiuterà». Sicuramente in futuro andrà meglio. Lei  ha già sofferto abbastanza. Se la sente di parlarmi di sua mamma Letizia?  «Sì. Mamma era una donna meravigliosa, quest'anno avrebbe festeggiato 25 anni di matrimonio con papà. Erano molto uniti, si amavano come il primo giorno che si erano incontrati. Come ogni moglie di  carabiniere, sapeva bene i rischi a cui mio padre poteva andare incontro. Anche quando andava all'estero. Era sempre preoccupata, ma quando partiva fingeva di  essere serena. Per amore accettava il rischio. Eravamo una bella famiglia unita... Poi il 30 gennaio del 2013 è morta. Aveva solo 53 anni». Che cosa è successo? «Mamma aveva già avuto un primo infarto, era diabetica e in lista per un trapianto. Una mattina ha cominciato a sentirsi male, sembrava un'influenza. Abbiamo chiamato il medico che invece  ci ha consigliato di portarla subito in ospedale, perché aveva un infarto in corso. “Mamma, chiamo io l'ambulanza!” ho detto. Sono corsa al telefono, il cuore mi batteva a cento all'ora. Avrei voluto avere la possibilità di volare per arrivare in tempo e poi vederla sorridere ancora. Ma non ce l'ha fatta. Ero disperata. “Come si supera un dolore così?” mi sono chiesta. E quando poi è arrivata la notizia di mio padre, mi è crollato il mondo addosso». Quella maledetta domenica del 28 aprile. Aveva sentito al telefono suo padre? «Sì, mi aveva chiamata intorno alle 11, poco prima di essere colpito. Si preoccupava per me, perché la sera dovevo andare a una festa di compleanno.  A Roma era giunto in missione già il mercoledì mattina, gli avevo preparato lo zainetto con la tuta mimetica. Un compito che aveva mia madre. “Vedi di non stare troppo tempo alla festa e non fare tardi” mi aveva raccomandato, “torna a casa presto così  mangi. Fammi stare tranquillo, e non ti trascurare”». Se oggi incontrasse Preiti, l'uomo che ha sparato a suo padre, che cosa gli direbbe? «Lo ignorerei. Un uomo così non merita neanche di essere guardato». Parliamo di Martina. Ogni ragazza ha dei progetti. Lei ha anche un fidanzato: come si chiama? «I progetti sono tanti anche se a 23 anni, per il carico che mi sento sulle spalle,  me ne sento 50. Ma va bene, sono fiera di papà e anche di me stessa. Spero in futuro che tutti e due ne usciremo meno accartocciati possibile. Il mio ragazzo si chiama Simone e lavora in una ditta cartotecnica di Prato. Stiamo insieme da cinque anni. All'inizio ero perplessa, lui a settembre compie 30 anni. Avevo paura della differenza di età. Invece abbiamo un bel rapporto e contiamo in futuro di costruirci una famiglia come quella che ho avuto, di avere dei bambini. Anche i suoi genitori sono bravi. In questo periodo  hanno tenuto in casa Peggy, il mio yorkshire a cui sono legatissima. Ora l'ho portato con me nel residence a Imola. Voglio farlo vedere a papà. I medici mi hanno promesso che appena lo mettono sulla sedia posso portarlo in clinica. Anche lui è amico di Peggy». Se  le offrissero di entrare nell'Arma dei Carabinieri, che cosa risponderebbe? «A 15 anni volevo entrare in Marina, magari iniziando dal collegio Morosini. Papà era d'accordo, mamma no. Avevamo un rapporto molto stretto e non ha voluto che  andassi, da sola, così lontano. Ma l'Arma è l'Arma, una grande Istituzione! Ora vediamo come si esce da questa storia e poi cercherò di pensare un po' a me, magari di riprendere il lavoro che ho lasciato». Sta seguendo la sottoscrizione di Libero in favore di lei è suo padre. So che non ha chiesto nulla, ma  la gente vi vuole bene. Oggi leggeranno questa intervista: che messaggio vuole mandare ai nostri lettori? «Libero lo leggo tutti i giorni, lo facevo anche prima. Ma non mi sarei mai aspettata tutta questa solidarietà davvero ammirevole. Li ringrazio tutti dal profondo del mio cuore. Se potessi lo farei singolarmente, grata di sentirmi tutto questo amore intorno. Ringrazio anche a nome di mio padre. Ha letto anche lui  il vostro quotidiano. È rimasto felice, ma sorpreso. Da carabiniere si è chiesto: ma che cosa abbiamo fatto di così particolare per meritare tutto questo?».

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