E il partigiano Gadgiustifica le esecuzioni
di Francesco Borgonovo Dev'essere una sorta di contrappasso: un «gendarme della memoria», per usare l'espressione di Giampaolo Pansa, che viene processato da un altro gendarme. Lo storico Sergio Luzzatto, nel 2006, scrisse sul Corriere della Sera un articolo su Pansa che definire feroce è riduttivo. Si trattava di una recensione a La grande bugia, imputato in quanto libro «revisionista». Bene, ora a Luzzatto vengono rivolte le stesse accuse, sebbene con toni più garbati: dopo tutto, è un intellettuale della sinistra bene. Anche se, guarda che strano, stavolta è costretto a pubblicare non per Einaudi, come suo solito, ma per i cugini cattivi di Mondadori, quelli in odore di berlusconismo. Ieri, su Repubblica, Gad Lerner ha trattato l'ultimo volume di Luzzatto (Partigia. Una storia della resistenza) proprio come un libro revisionista, poiché racconta un episodio poco noto della resistenza che ha tra i protagonisti Primo Levi. Ovvero l'esecuzione a sangue freddo di due ragazzi, Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano da parte del gruppo armato di cui Levi faceva parte. Gad non ha stroncato il testo. Non poteva, visto che è un tomo molto documentato che prende in esame vicende la cui veridicità non è in discussione. Però, per sminuirlo, gli ha mosso alcuni dei rimproveri che lo stesso Luzzatto muoveva a Pansa. Ha seguito alla lettera il manuale del censore. Non ci credete? Vediamolo. Punto primo: il libro non racconta nulla di nuovo. Lo scrisse Luzzatto parlando dei testi di Pansa. «Dal punto di vista dei contenuti», scriveva lo storico nel 2006, «il libro ripete cose che si sanno. Che sono state dette e ridette, scritte e riscritte, interpretate e reinterpretate». Di più: tutti i libri di Pansa «raccontano sempre la stessa vicenda», sono «tonnellate di carta copiativa». Sapete che dice ora Lerner di Luzzatto? Secondo Gad, Partigia è «un'indagine che non ha molto da rivelare sul piano storico - le atrocità sulla resistenza come guerra civile sono già dissodate». E ancora: «Non aggiungerebbe nulla di nuovo sul piano della ricostruzione storica e del giudizio morale». La conclusione è facile: visto che tutti (chi, di grazia?) conoscono già queste storie, meglio non parlarne. Proprio come sostiene Lerner quando afferma che il libro di Luzzatto sollecita «a una discutibile revisione iconografica e sentimentale». Punto secondo: cui prodest? Ecco l'accusa più infamante: questi libracci revisionisti servono solo a far propaganda politica, a stuzzicare i nostalgici. Scriveva nel 2006 Luzzatto che «il profilo merceologico del cliente di Pansa coincide con quello del cliente dei volumi di storia di Bruno Vespa (un giornalista che pure, in confronto a Pansa, torreggia come un gigante della storiografia)». Poi aumentava il carico, spiegando che «fra gli aficionados di Pansa, un nocciolo duro (...) è dato dagli ex del Fascio e di Salò», i quali «riconoscono nelle sue accuse contro il movimento partigiano e contro i delitti dei “comunisti” una forma di risarcimento per le loro scelte di sessant'anni fa». Per Luzzatto, «la audience giampaolopansista corrisponde al ventre molle di un'Italia anti-antifascista (...). L'Italia innamorata di Pansa è una morosa che non fa invidia». Ecco, adesso Lerner scrive di Luzzatto: «Adopera qui anch'egli il termine dispregiativo “vulgata resistenziale” che tanto gratifica gli iconoclasti (già me li vedo intenti finalmente a demitizzare il grande scrittore della Shoah)». Guarda un po': anche Luzzatto fa il gioco del ventre molle dell'Italia? Incredibile. Sarebbe interessante conoscere i sentimenti dello storico, ora che i suoi amici gli rivolgono assalti simili a quelli che lui rivolgeva a Pansa. Ma nell'articolo di Lerner ci sono altri passaggi interessanti, in cui si giustifica l'esecuzione dei partigiani. Lo stesso Levi, nel Sistema periodico, la descriveva con profonda commozione, spiegava di esserne uscito distrutto. E Gad sostiene: «Cosa pretendere di più, in sincerità e tormento?». Vero, ma allora perché uno storico dovrebbe lasciare sepolto quell'episodio? Due giovani accoppati con una fucilata alle spalle per - parole di Lerner - «indisciplina grave, minacce armate, forse anche un furto». Roba che merita una sommaria condanna a morte? A quanto pare sì, visto che i due ammazzati erano, secondo Gad, «ragazzi sbandati che le circostanze avevano reso incompatibili con le regole della guerra partigiana». Sai, se sono incompatibili, vanno fatti fuori. Che cinismo, l'amico Lerner. Ma, dopo tutto, lui è quello che, il giorno dopo il suicidio di David Rossi di Mps, si domandava sul suo blog: «Come mai così in pochi?», stupendosi che non ci fossero politici e manager italiani disponibili alla pratica. Chissà, magari al problema si potrebbe ovviare con una bella esecuzione in stile sovietico. Due colpi alle spalle, e non se ne parli più.