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Cassazione, pausa caffè troppo lunga: giusto licenziare
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L'impiegato di banca aveva un bel "palmares": lasciava la cassa aperte, creava code ingestibili e aveva il vizietto di andare al bar troppo spesso
Caffè amaro. Lo è stato per un dipendente del Credito Emiliano di Palermo. Per una tazzina di troppo è stato licenziato. Il bancario si era preso una pausa caffè extra durante il suo turno di lavoro. Per questo ha perso il suo posto di lavoro. Lui ha fatto ricorso ma sia in Appello che in Cassazione ha fatto flop ed ora è stato definitivamente licenziato. Ma a quanto pare il dipendente non era proprio esente da colpe. Non solo caffè al cnetro del suo licenziamento. La sua condotta a lavoro non è stata all'altezza della situazione. Infatti a quanto pare l'uomo è stato fatto fuori anche perchè si era rifiutato di fare un'operazione complessa richiesta da un cliente, e poi, a distanza di sei giorni, aveva lasciato la cassa aperta con i soldi incustoditi, con una eccedenza di 500 mila lire, allontanandosi per andare al bar senza aver prima registrato l'ultima operazione. Dopo aver raggiuntio questo poco invidiabile palmares nel 2008 la Suprema Corte aveva già spiegato che "la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, dev'essere apprezzata con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro, ma anche alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito".
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La Postina con Zanellato diventa Dotta
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