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C'è la crisi: chi è povero e ruba non finisce in cella

Coppia senza lavoro e con 5 figli perdonata per aver portato via merce in un supermarket. Ma così si legalizza il furto

Giulio Bucchi
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  di Giordano Tedoldi Scriveva Nietzsche che di fronte ai poveri che chiedono l'elemosina non c'è modo di cavarsela: ci sentiamo insoddisfatti sia quando ci mettiamo la mano in tasca per elargire pochi spiccioli sia quando tiriamo dritto. Il solito aforisma paradossale di quel portavoce della cattiva coscienza. L'Eco di Bergamo ieri riportava un fatto di cronaca che avrebbe sicuramente attirato l'attenzione del filosofo tedesco: una coppia di quarantenni residenti a Caravaggio (lui albanese, la moglie di Varese) è stata fermata qualche passo dopo le casse del supermercato Pellicano di Treviglio con circa duecento euro di merce infagottata nei vestiti e nelle borse. I coniugi fermati sono poveri, anzi miserabili, senza lavoro e con cinque figli piccoli da mantenere. Sono dunque stati costretti a rubare per sopravvivere e campare la famiglia. La polizia, dopo l'identificazione, li ha indagati in stato di libertà e subito rilasciati.  Nulla da eccepire: quando diciamo che i due sono stati costretti, ci riferiamo all'art. 54 del codice penale, che individua lo stato di necessità: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo». I poliziotti hanno ravvisato che questo articolo era corrispondente alla fattispecie, da qui la liberazione. Eppure, dopo aver letto la notizia ci sentiamo a disagio come nel dilemma del questuante: certo, non si possono mica arrestare padre e madre di famiglia numerosa, occasionalmente fattisi ladri al supermercato. Però pure lasciarli andare via senza la pronuncia di un giudice, senza un qualche approfondimento del caso e soprattutto una verifica più tecnicamente accurata dello stato di necessità, ma subito dopo aver sbrigato le formalità, non convince.  Quante persone in questi tempi grami si trovano in condizioni simili, se non peggiori, a quelle dei disperati genitori di Caravaggio? Prendiamo tutti i genitori disoccupati, gli indebitati, quelli che stanno per perdere il tetto sulla testa, le donne in attesa di un bambino quando non c'è nemmeno uno stipendio in famiglia. Tutti possibili stati di necessità. Immaginiamo che tutte queste persone, che potrebbero essere nell'ordine delle migliaia in tutta Italia, comincino a rubare nei supermercati, magari dopo aver letto sul giornale quanto accaduto al supermercato Pellicano. Se le circostanze esimenti sono valse per la coppia di Caravaggio, devono valere anche per loro, altrimenti non c'è giustizia. Anche loro, quindi, qualora fossero sorpresi a rubare, dovrebbero cavarsela: dopo l'arrivo della polizia, sarebbero condotti in un ufficio del supermercato, identificati, indagati a piede libero e rilasciati. E il giorno dopo si può ritentare, preferibilmente in un altro supermercato. Ce ne sono tanti.  Indubbiamente si diffonderebbero, presso gli addetti alla sicurezza dei supermercati, foto segnaletiche dei poveri costretti a rubare per sfamare la famiglia, e i poveri sarebbero costretti a spostarsi, con aggravio di spese, per cercare un supermercato in cui non siano ancora stati segnalati.  Uno scenario davvero drammatico. Più ci pensiamo, più non troviamo una soluzione. In effetti, una soluzione ci sarebbe, l'abbiamo accennato all'inizio: ci vorrebbe un giudice che si assume l'ingrata responsabilità di stabilire se il furto è stato effettivamente determinato da stato di necessità oppure no. E che decide, in coscienza, se per quel povero costretto a rubare è meglio il perdono (perché questo, di fatto, è il rilascio immediato) oppure un castigo, sia pure comprensivo delle attenuanti, affinché non si equivochi sul fatto che un furto rimane un furto, e che la spesa al supermercato si deve fare con i soldi guadagnati lavorando, come tutti. Così, non ci sarebbe l'automatismo della liberazione che renderebbe sostanzialmente legali quei furti. I dilemmi morali più grandi si nascondono nelle piccole vicende di provincia. Ci vuole coraggio per giudicare al tempo della crisi ma non si può rinunciare, una società non si regge sulla buona coscienza.    

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