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"Faceva rapine, ma per la crisi"Giudice fa sconto al bandito

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Un artigiano in rovina tenta (invano) un colpo in banca. Le toghe gli riducono la pena. Una storia che dà la cifra dei tempi che corrono in Italia

Andrea Tempestini
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di Alessandro Gonzato Travolto dalla crisi, Danilo Cappelletto, 43 anni, divorziato, padre di due figlie e, prima di dover chiudere l'attività, artigiano di San Giorgio in Bosco - nel Padovano - lo scorso settembre aveva tentato vanamente di rapinare una filiale della Banca Popolare di Vicenza a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso. Uscito dall'istituto di credito senza nemmeno un euro in tasca, era stato arrestato qualche minuto dopo, giusto il tempo di allontanarsi in sella alla sua moto, una Honda Custom. Condannato ad un anno e sei mesi di reclusione, trascorsi venti giorni in carcere e cinque mesi agli arresti domiciliari in un garage del fratello riadattato a piccola abitazione, ora Cappelletto, su decisione del giudice, per il resto della pena dovrà attenersi soltanto all'obbligo di firma giornaliera nella caserma dei carabinieri. Le motivazioni che hanno portato il tribunale alla modifica della misura cautelare saranno rese note solo nelle prossime settimane, ma a graziarlo sarebbe stata anche la stessa crisi che l'aveva spinto ad accumulare quarantamila euro di debiti con le banche, cifra che in parte sarebbe riuscito a restituire se solo alcuni suoi clienti non avessero continuamente rinviato i pagamenti.  «Ritengo che il giudice abbia considerato le condizioni nelle quali si era svolto quel tentativo di rapina» dice il suo avvocato «e lo stato in cui versava il mio assistito, che oltre ad aver perso il lavoro doveva anche far fronte ad un avviso di sfratto». La rapina non era riuscita perché, nonostante l'uomo avesse finto di avere con sé una bomba (poi rivelatasi un semplice pacco contenente quattro bicchieri), una dipendente dell'istituto di credito - all'epoca incinta di sette mesi - senza perdere la calma lo aveva avvisato che la cassa con i contanti era regolata a tempo e che quindi, anche volendo, non avrebbe potuto consegnargli i soldi. Quindi, l'artigiano, non sapendo più cosa fare, aveva chiesto alla cassiera di aprirgli la porta per poter uscire dalla banca ed allontanarsi dall'edificio. Insomma, si sarebbe trattato di un tentativo di rapina alquanto fantozziano, senza armi né violenza. «Una volta dentro alla banca» precisa il legale «il mio assistito non ha fatto nulla per aggravare la sua posizione o per incutere timore ai dipendenti. Avrebbe potuto approfittare dello stato in cui si trovava la cassiera come spesso fanno i rapinatori che davvero vogliono portare a termine il colpo, ma non ne ha avuto il coraggio». Secondo il legale, dunque, il magistrato avrebbe emesso «una sentenza di buon senso, anche perché ha valutato che l'episodio si è ridotto ad una trentina di secondi e che la persona coinvolta non era nemmeno tanto convinta di ciò che stava facendo». Il giudice, che ha tenuto conto delle attenuanti del caso, avrebbe inoltre escluso sia la recidiva specifica - ossia una rapina in banca messa a segno nel 2002 a seguito della quale Cappelletto prima era finito in carcere, salvo poi scontare il resto della pena in affidamento ai servizi sociali - sia l'uso delle armi. «Va detto comunque» sottolinea l'avvocato dell'ex piccolo imprenditore «che il tribunale, decidendo di togliere gli arresti domiciliari, non ha operato una forzatura, anche se di trattamenti sanzionatori di questa portata, va detto, non è che se ne vedano molti in Italia». L'ex artigiano, oggi senza un'attività ed una speranza di impiego, a distanza di sei mesi dal maldestro tentativo di rapina alla Banca Popolare di Vicenza dice di essere stato spinto dalla disperazione del momento. Ora che è un uomo libero - col solo obbligo di firma giornaliero - si rivolge allo Stato per chiedere un lavoro, qualsiasi cosa gli consenta di rimettersi in carreggiata e di rifarsi una vita.

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