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Asteoridi e meteoriti, come difendere la terra. Atomica e astronavi le risorse

Giulio Bucchi
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di Attilio Barbieri L'impatto di una cometa o di un asteroide con l'atmosfera terrestre, anche di piccole dimensioni, può provocare un massacro. Ne abbiamo avuto conferma dalla meteora precipitata sulla regione degli Urali, a 1.500 chilometri da Mosca. Il pezzo di roccia pesante circa dieci tonnellate, disintegrandosi nella parte bassa dell'atmosfera, ha provocato un'onda d'urto fortissima con la pioggia di piccoli frammenti di cristallo. Fosse precipitato su una grande città come Mosca o New York il bilancio sarebbe stato ben peggiore rispetto ai 1200 feriti registrati venerdì nella provincia  di Chelyabinsk. La domanda che ricorre alla mente in questi casi è una sola: si può fare qualcosa per evitare impatti di questo genere? E la risposta è sì, come ha spiegato a Libero ieri l'astrofisica Margherita Hack: «Un asteroide può essere distrutto con una carica nucleare oppure gli si può mandare vicino una grande astronave che lo attragga gravitazionalmente e lo trascini via».  Sulla prima ipotesi è basato il film «Deep impact»: una missione con due veicoli spaziali simili agli Space Shuttle appena mandati in pensione dalla Nasa, che portino sull'asteroide in rotta di collisione con la Terra potenti cariche nucleari in grado di farlo esplodere. Film a parte, esistono numerosi progetti delle agenzie spaziali di Usa, Russia ed Europa per intercettare un corpo celeste di dimensioni tali da impattare sul nostro pianeta con gravi conseguenze per la biosfera. Più avanti di tutti è la Nasa, pur con i drastici tagli al bilancio decisi da Obama. L'idea a cui fa riferimento anche la professoressa Hack è venuta a due ex astronauti del Johnson Space Center di Huston, Edward Lu e Stanley Love. Anziché bombardare il bolide in avvicinamento alla nostra orbita lo si può deviare. Con l'aiuto di un gigantesco rimorchiatore spaziale. Il progetto prevede la costruzione di un'astronave di 20 tonnellate che si avvicini il più possibile all'asteroide e lentamente ma inesorabilmente, lo sposti dalla rotta che sta seguendo con la propria massa.  Le uniche  controindicazioni dell'intero progetto sono rappresentate dai costi, superiori addirittura al budget previsto dagli americani per portare gli uomini su Marte (da 80 a 150 miliardi di dollari) e dal tempo necessario per realizzare l'astronave, non inferiore ai 20 anni. Poi servirebbe comunque un anno intero per consentire al rimorchiatore spaziale, con la sua massa, di deviare il corpo celeste. Parliamo però di un asteroide «medio», con un diametro di circa 200 metri e la cui traiettoria è prevedibile. Le comete come quella precipitata giovedì in Russia sono molto più piccole e il loro comportamento assai meno prevedibile. Sugli asteroidi e sulle comete del primo tipo sta lavorando da anni la solita Nasa che li ha battezzati Neo, acronimo di Near earth objects, letteralmente «oggetti vicini alla terra». E li controlla con un programma di sorveglianza continua, lo Spaceguard. Progetti faraonici a parte c'è chi sta studiando il problema e propone rimedi su una scala meno impegnativa da un punto di vista finanziario e dei tempi di realizzazione. Parliamo del  centro  interdipartimentale di studi e attività spaziali «G. Colombo» dell'università di Padova, che sta lavorando alla realizzazione di tecnologie in grado di catturare i detriti spaziali  per poi farli uscire dall'orbita e bruciarli nell'atmosfera. Un'applicazione della ricerca che concorre al finanziamento di un milione e mezzo messo a disposizione dall'Unione europea, prevede la realizzazione di una navicella a  propulsione ibrida, basata sia su propellente tradizionale, sia su quello al plasma. L'astronave senza equipaggio dovrebbe avvicinarsi  all'asteroide per poi sparare plasma e imprimergli un'accelerazione tale da deviarne la traiettoria.   Difficile dire quale sia la soluzione migliore, le bombe nucleari, i rimorchiatori dello spazio o la navicella al plasma. Il sospetto è che, qualora servissero, non ci sarebbe il tempo necessario per realizzarli.

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