Volontariato internazionale sì, ma non con il fai-da-te e senza controllo. Dopo quanto avvenuto a Vanessa Marzullo e Greta Gramelli la percezione della questione è cambiata, nell'opinione pubblica, soprattutto nello stesso mondo di riferimento del volontariato, cattolico e non. «Pagare un riscatto è un dilemma terribile. La vita viene sempre al primo posto. Ma certo il non pagamento è il presupposto per restare a operare in un Paese. Una volta che paghi, salvi una vita, ma rendi più pericolosa la permanenza degli altri operatori. Per tutto questo, non bisognerebbe essere incauti nelle partenze»: sono le parole Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv (federazione di 72 organismi di volontariato attivi in oltre 80 Paesi), in un'intervista a Repubblica, in risposta alla domanda se sia giusto o meno pagare, come potrebbe essere stato fatto per liberare le cooperanti italiane Greta e Vanessa. E sostiene con chiarezza che se glielo avessero chiesto, «gli avrei detto di non andare». Parole nette anche dal patriarca di Venezia, l'arcivescovo Francesco Moraglia, il quale ha dichiarato che, felicità a parte per il ritorno delle due ragazze, «al tempo stesso, però, sarebbe opportuno a questi livelli un coordinamento vero, per evitare il ripetersi di fatti del genere e l'esporsi della comunità internazionale in interventi dal risultato non certo e strumentalizzabili in altre circostanze». Lo ha spiegato il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia. Concetto approfondito in un editoriale pubblicato dal Sir, agenzia di stampa di riferimento della Cei, in cui si legge, tra le altre cose, che la riflessione imposta da tutta la vicenda dovrebbe proprio partire «dal sottile diffuso malcontento che si respira tra la gente, quella «gente comune» che oggi, spesso, fa fatica ad arrivare a fine mese e si interroga se sia giusto che lo Stato (sempre che venga confermato ufficialmente) paghi 12 milioni di euro per due ragazze che, a loro stesso dire, per lo meno sono state un po' incaute a recarsi in Siria, oltretutto finanziando il terrorismo islamico». E allora ci si chiede, si legge sempre nell'articolo, «se non sia opportuno accentuare restrizioni e controlli sull'invio, da parte delle Ong riconosciute a livello governativo, di volontari ed operatori in zone particolarmente rischiose». Infine, sempre secondo quanto si legge nell'editoriale del Sir, «occorrerebbe che l'opinione pubblica conoscesse un limite economico oggettivo e dichiarato di eventuale intervento dello Stato in caso di sequestro. Si tratterebbe non di dirsi disponibili a pagare un riscatto, bensì della eventuale disponibilità dello Stato stesso a contribuire con aiuti umanitari per sollecitare e facilitare la liberazione di cooperanti o altri soggetti rapiti in missioni umanitarie». Ben poca comprensione, dunque, per quanto hanno fatto Vanessa e Greta, e proprio tra chi il volontariato lo vive quotidianamente. Significativo, infatti, anche il «silenzio» della Croce Rossa, dopo il ritorno delle due ragazze. In fondo, la stessa Greta, originaria di Besozzo, forniva servizio di volontariato proprio nella Croce Rossa di Gavirate, un comune della zona. Certo, per statuto, come hanno ricordato alcuni volontari, «non puoi esporti in alcun modo su questioni politiche». A non parlare, tuttavia, non solo solo i semplici volontari di base. Il riserbo sulla questione è mantenuto anche dai piani alti dell'associazione.