L'ultrà ammazzato è una vittima ma non un eroe
Addolora la morte di un giovane e lo strazio della famiglia, ma Esposito era in mezzo a una rissa, non passava di lì per caso
Ma siamo proprio sicuri che Ciro sia un eroe? I funerali del tifoso napoletano che si sono celebrati ieri si sono trasformati in una solenne beatificazione dell'ultrà morto dopo gli scontri allo stadio: il sindaco ha proclamato il lutto cittadino, a Scampia gli hanno subito dedicato una piazza, poi gli vogliono dedicare pure un centro sportivo e qualcos'altro. E soprattutto nei cori e negli slogan, nelle invocazioni della folla, oltre che nelle parole delle autorità intervenute, si manifestava chiaramente la voglia di costruire un santino attorno alla sua figura. Si è parlato di "lezione di vita", di "esempio per l'Italia", di "bandiera dello sport sano". E i tifosi più scalmanati del Napoli, quelli della Curva A, gli hanno srotolato uno striscione con la scritta: "A un degno figlio degli ultrà, ciao eroe". Ma un figlio degli ultrà può essere un eroe? Sì? Davvero? Anche se a proclamarlo tale sono Genny 'a Carogna e i suoi fratelli? È evidente che un giovane che muore a 31 anni, dopo 54 giorni di agonia, colpisce e addolora. Così come colpisce e addolora lo strazio della famiglia, che ha avuto un comportamento davvero lodevole nel gestire la tragedia evitando nuove violenze. Ma tanto basta a far di Ciro un eroe? Le parole hanno un peso, e a volte persino un senso. Eroe è stato Salvo D'Acquisto, il giovane brigadiere che si autoaccusò di un attentato in cambio della vita di 22 ostaggi: aveva 23 anni quando i tedeschi lo fucilarono nel '43. Eroe è stato padre Kolbe, che si offrì di morire ad Auschwitz al posto di un altro: all'ufficiale medico che gli faceva l'iniezione letale disse con il sorriso «lei non ha capito nulla della vita». Se vogliamo episodi più recenti, eroe è il carabiniere Giuseppe Giangrande ferito davanti a Palazzo Chigi da un pazzo a mano armata, mentre difendeva le istituzioni. Ciro, invece, non difendeva le istituzioni. Anzi. Ciro è stato indagato per rissa. Le ricostruzioni di quella sera sono controverse ma una cosa è almeno certa: tifosi napoletani e tifosi romanisti se le stavano dando di santa ragione. E Ciro era lì, in mezzo alla zuffa. Le dava e le prendeva, come si usa in questi casi. È stato sfortunato, certo: ma non passava di lì per caso. Un dirigente della Digos, in conferenza stampa, ha raccontato così la dinamica: «I napoletani hanno risposto alle provocazioni dei romanisti e ne è nata una rissa. Mentre scappava, Daniele De Santis (il presunto assassino, ndr) è scivolato, e sentendosi minacciato da un bel gruppo che lo inseguiva a viso coperto e armato di bastoni, ha esploso quattro colpi di arma da fuoco. Dopo l'arma si è inceppata ed è stato malmenato dai tifosi napoletani". Dunque ci sono volti coperti, bastoni, risse. Da una parte e dall'altra. Non siamo in presenza di una famigliola che va allo stadio a vedere la partita in santa pace, né di un Gandhi che usa mezzi pacifici per difendere i tifosi sul pullman, come qualcuno sta cercando di far passare con grande opera di comunicazione in salsa partenopea. Stiamo parlando del tifo organizzato. Stiamo parlando di gente che mena le mani. Stiamo parlando di inseguimenti, botte, codici di onore, proprio le cose che stanno rovinando il nostro calcio. In questo senso Ciro è davvero un figlio degli ultrà. In questo senso, in quanto figlio degli ultrà, non può essere un eroe. Una vittima, sicuro. Ma non un eroe. Non è un caso se ai suoi funerali c'era anche Genny 'a Carogna, quello che per settimane abbiamo descritto come il simbolo del calcio malato. Quello che ha tenuto in ostaggio l'Olimpico di Roma. Quello che sulla maglia portava la scritta che inneggiava l'assassino di un poliziotto. Tutti atti non eroici, purtroppo, che però sono quelli che hanno inquinato e forse distrutto per sempre il mondo del pallone. In questi atti non eroici, il figlio degli ultrà Ciro Esposito era immerso. Di questi atti non eroici era imbevuto fino al collo. Ora che è morto non gliene si può certo fare una colpa. Ma nemmeno un merito. S'è fatta molta retorica su Ciro figlio di Scampia, discriminato perché napoletano, s'è fatto il solito vittimismo sul Sud non capito e mal interpretato. La mamma e gli amici dicono che era un bravo ragazzo, un lavoratore e una persona perbene, senza rapporti con criminalità organizzata e malavita. E noi ci crediamo. Ma è un figlio degli ultrà. E forse, allora, il modo migliore di rendere omaggio alla sua memoria è quello di evitare di costruire un santino che non ha ragione di essere: in quel maledetto sabato attorno a Ciro c'era una rissa di figli degli ultrà, e lui era lì, nel mezzo, nel mezzo di quella violenza, fra volti coperti e bastoni, caschi e pistole, codici di onore mal interpretato e sempre troppo sangue. Ne è rimasto vittima, certo. Ha pagato il prezzo più alto e tanto basta per non additarlo come colpevole. Ma non è un eroe. Non può essere lui il simbolo del calcio sano e dell'Italia dal volto pulito. Ricordarlo può essere spiacevole ma è necessario: il simbolo del calcio sano e dell'Italia dal volto pulito non può essere scelto con un coro guidato da Genny 'a Carogna. di Mario Giordano