La madre di Ciro racconta i due mesi al suo capezzale: "Così è morto mio figlio"
«Ciro è stato ucciso per un atto di violenza: questo non deve accadere più. Nessuno più deve pagare e soffrire per una cosa bella come il calcio che Ciro amava tanto. Basta con la violenza. Ragazzi: alzate gli striscioni, applaudite, battete le mani, fate i cori. Nel nome di Ciro basta con la violenza, ve lo vieto». Antonella Leardi, dopo due mesi passati al suo capezzale, ha visto il figlio morirle tra le braccia e nel suo immenso dolore ha trovato la forza di questo accorato appello perché la sua morte non sia vana. Una forza che non è mai venuta meno dal giorno in cui le hanno dato la terribile notizia del ferimento di Ciro fino all'ultima sera quando i medici le hanno comunicato l'aggravarsi della situazione. Cinquanta giorni che ha annotato con cura, amore e speranza in un diario che Repubblica oggi ha pubblicato. Il diario di una mamma che spera (3 giugno: "Ciro non molla e con l'aiuto di Dio ce la farà. Promessa di mamma"), che gioisce dei miglioramenti del figlio (23 maggio: "Oggi i medici hanno visitato Ciro e dicono che finalmente c'è stato un piccolo miglioramento: l'hanno soprannominato Roccia. Si vede che d'ora in poi lo dovremmo chiamare Pietro"), che si deprime per i suoi segnali di malessere (14 maggio: "Quando entriamo in stanza prima ci saluta, poi cambia umore e ci manda via. Sembra un pappagallino spaurito"; 17 giugno: "Ciro ha visto la partita dell'Italia insieme a suo padre. Sta seguendo tutti i mondiali anche se a volte riesce a vedere solo pochi minuti di partita. E' debole"), che si riempie il cuore dei gesti di solidarietà (18 maggio: "Si è presentato un tifoso della Roma che ci ha consegnato una lettera commovente. E' stato l'unico a scusarsi a nome della città. L'ho abbracciato ed è scoppiato in lacrime. Un ragazzo dolcissimo, non lo dimenticherò", soprattutto di quelli inattesi (3 giugno: "Stamattina è venuto il manager di Maradona e ha portato a mio figlio la maglietta autografata di Diego"; 16 maggio: "Mi è arrivato un sms dal funzionario della Digos che la notte della sparatoria ha fatto da tramite tra noi e i medici. Ha scritto che gli dispiace molto per le condizioni di Ciro e che ci è vicino. Gesti così fanno bene al cuore") . Il diario inizia il 3 maggio: "Alle 19 mi ha chiamato mio nipote Mimmo", scrive Antonella Leardi, "era stravolto. Mi ha saputo dire solo che Ciro era in ospedale e che gli avevano sparato. Mentre mio marito Giovanni avvisava i parenti ho acceso la tv. Ho riconosciuto lo zainetto di nostro figlio buttato in terra c'erano i panini e il casatiello che gli aveva preparato il papà, come fa ogni volta che Ciro parte per seguire il suo Napoli. Siamo partiti per Roma". E finisce il 23 giugno: "Stasera per la prima volta non torneremo in albergo", annota la mamma di Ciro. "In questo mese e mezzo il proprietario Pino Smiraglia ci ha sempre aspettati fino alle 22 per cenare insieme. Ma purtroppo la situazione è drammatica, Ciro ha avuto una ricaduta, ha la pressione bassissima e la sua vita è appesa a un filo. Stanotte staremo accanto a lui".