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Stato-mafia, la Consulta: Intercettare il Quirinale dannoso per le istituzioni

Giorgio Napolitano

Depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale accolse il conflitto sollevato dal Quirinale: "Distruggere immediatamente le registrazioni"

Andrea Tempestini
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Sono state depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Corte Costituzionale, lo scorso 4 dicembre, accolse il conflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo relativo alle intercettazioni in cui, indirettamente, veniva coinvolto il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Le intercettazioni furono disposte nell'ambito della presunta trattativa tra Stato e mafia.  "Dannose per le istituzioni" - Così oggi si scopre che secondo la Consulta, la "propalazione" del contenuto dei colloqui di Napolitano "sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e per le funzioni del Capo dello Stato, ma anche e soprattutto per il sistema costituzionale complessivo". Fin troppo facile sottolineare come quando vennero diffuse le conversazioni private di Silvio Berlusconi, allora premier, nell'ambito del processo Ruby nessuno mosse un dito e men che meno sostenne che tale condotta forse dannosa per le istituzioni. "Distruzione immediata" - La Corte Costituizionale prosegue sottolineando la necessità di "distruggere nel più breve tempo le registrazioni casualmente effettuati di conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica. Per le toghe, insomma, è questa la soluzione, messa nero su bianco nella sentenza numero 1 del 2013, e con cui viene posta la pietra tombale sul conflitto tra il Quirinale, la Procura di Palermo e sulle parole di Napolitano intercettate nell'ambito della trattativa.

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