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Redditometro, è caos: il nuovo smentisce il vecchio

Sarà l'indice Istat a "giudicare" le nostre spese. Secondo questo criterio, molti accertamenti del passato non sarebbero partiti. Annulliamoli

Giulio Bucchi
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di Sandro Iacometti Se il governo ha deciso che d'ora in poi sarà l'Istat a stabilire quanto spendiamo e, di conseguenza, qual è il nostro reddito su cui calcolare le imposte da pagare, perché non affidarsi all'Istituto nazionale di statistica anche per il passato? Il meccanismo del nuovo redditometro introdotto dal decreto del ministero dell'Economia pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale prevede che le entrate di ogni singolo contribuente vengano ricavate dall'analisi delle spese effettuate nel corso dell'anno tenendo conto dell'appartenenza ad una delle 55 tipologie familiari che si ottengono dall'incrocio tra 11 tipi di nucleo familiare e 5 aree geografiche. Per quanto riguarda le spese, l'elenco complessivo è di 56 voci, di cui, però, 26 legate a doppio filo alle rilevazioni statistiche dell'Istat. La norma di legge può sembrare assurda, ma è scritta nero su bianco nel decreto. In presenza di queste 26 tipologia di spesa, si legge nel documento, «ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche si considera l'ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell'indagine sui consumi dell'Istituto nazionale di Statistica o da analisi e studi socio economici, anche di settore». In altre parole, non solo, come è discutibile ma meno assurdo, in mancanza di informazioni concrete e documentate sulle 26 voci il fisco prende come unità di misura le rilevazioni dell'Istat. I dati statistici vengono utilizzati anche se al fisco le spese risultano, ma non raggiungono la soglia prevista. Per essere più chiari, il nuovo redditometro stabilisce per legge che per l'abbigliamento, i cibi e le bevande, il telefono, il riscaldamento e ogni altro dettaglio della nostra vita quotidiana ogni contribuente deve spendere una determinata cifra, che è stabilita dalle indagini di mercato. Se siamo riusciti a risparmiare, per il fisco diventiamo automaticamente degli evasori. A questo punto uno si aspetterebbe di vedere Tom Cruise che si presenta in casa accompagnato da un potente telepate che scruta nel nostro cervello, come in Minority Report. E invece, vi arriverà una bella letterina dell'Agenzia delle Entrate che vi inviterà a recarvi alla sede più vicina per esibire «la prova contraria». Avete capito bene. Dovrete dimostrare agli agenti del fisco dove avete trovato i soldi per effettuare spese che non avete mai fatto. Tutto questo a partire dall'anno fiscale 2009. Per i periodi precedenti, invece, ed ecco il pardosso nel paradosso, continua a valere il vecchio redditometro, che, se possibile, era ancora peggiore. Non avendo a disposizione la quantità di informazioni che affluiscono adesso all'anagrafe tributaria, la presunzione del reddito era effettuata su un numero minimo di voci di spesa, che venivano poi moltiplicate per determinati coefficienti. Ebbene, gli esperti del Sole 24 Ore hanno messo a confronto i redditi presunti con il vecchio strumento con quelli scaturiti utilizzando la nuova norma e i valori Istat dell'epoca. Nella maggior parte dei casi emerge che la capacità contributiva risultante dal nuovo redditometro è più bassa di quella risultante dal vecchio. In sostanza, un contribuente che nel 2008 o nel 2007 è risultato incongruo agli occhi del fisco, non lo sarebbe più, a parità di reddito dichiarato, nel 2009 applicando le nuove norme. Si potrebbe dire, insomma, che il redditometro attuale dimostra l'iniquità di quello precedente. Il problema, a questo punto, è: cosa succederà ai contenziosi fiscali già in atto e agli accertamenti avviati sugli anni precedenti al 2009? La giurisprudenza italiana si è espressa più volte nel senso dell'estensione al sistema tributario del principio penalistico del favor rei. Se il direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera, vuole veramente dimostrare, come ha scritto sul Corriere della sera, che il nostro non è uno Stato di polizia fiscale, l'occasione sarebbe perfetta. twitter@sandroiacometti  

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