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I giudici rottamano l'alcoltest: basta un farmaco e non vale

La Cassazione: medicine e metabolismo possono falsare l'esame. Risultare positivi non basta per la condanna, si dovrà valutare caso per caso

Giulio Bucchi
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  di Matteo Mion La Cassazione penale con sentenza 28388 del luglio 2012 cestina de facto gli alcoltest. Stabilisce, infatti, la Suprema Corte, che l'assunzione di farmaci per curare malattie croniche è in grado di alterare i risultati dei test alcolimetrici. In particolare, la pronuncia degli ermellini innova la lettera della legge anche sotto l'aspetto dell'onere della prova. Costituiva compito della difesa dell'imputato provare che la positività dell'alcoltest fosse dovuta alla presenza di vizi del macchinario oppure a un errato metodo di aspirazione. Con questa decisione la Cassazione stabilisce invece che è obbligo del giudice valutare qualsiasi circostanza pertinente e rilevante. Non è più sufficiente che l'Autorità accertante produca in giudizio la documentazione attestante l'esatto funzionamento dell'alcoltest, ma il giudice dovrà strutturare la prova in dibattimento. Nel caso di specie l'imputato era stato condannato sia dal tribunale di Monza in primo grado, sia nel successivo giudizio d'appello, sulla base del fatto che le rilevazioni del tasso alcolimetrico non potessero venire inficiate da un'alterazione del metabolismo derivante dall'assunzione di farmaci. La Suprema Corte non ha però condiviso tale orientamento e ha cassato la sentenza di secondo grado, rimettendo nuovamente la questione innanzi al giudice di seconda istanza. In altre parole, gli ermellini hanno fatto propria, pur senza pronunciarsi specificamente sul punto, l'ipotesi che il risultato dell'alcoltest fosse da ricondursi non ad uno stato d'ebbrezza, ma all'alterazione metabolica conseguente all'utilizzo di medicinali che D.B. era costretto ad assumere a causa di una patologia cronica.    Leggi l'articolo integrale di Matteo Mion su Libero in edicola oggi, giovedì 22 novembre    

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