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Politici e carabinieri a processo con i boss mafiosi

Dodici richieste di rinvio a giudizio per il caso che ha coinvolto anche il Colle. Ma il procuratore Messineo non firma l'atto

Lucia Esposito
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di Tommaso Montesano Cinque capi-mafia (Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà), tre ufficiali dei Carabinieri (Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno), tre esponenti politici (Nicola Mancino, Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino) e l'immancabile Massimo Ciancimino, il figlio di “don Vito”. Sono loro, secondo la procura di Palermo, i protagonisti della presunta trattativa tra Stato e Cosa Nostra che sarebbe andata in scena tra il 1992 e il 1994. Per tutti e dodici, infatti, il pool palermitano guidato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia ha chiesto il rinvio a giudizio. Per undici di loro, il reato ipotizzato è quello di «attentato a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato». L'unica eccezione è Mancino, accusato invece di falsa testimonianza in relazione alle dichiarazioni rese sulla “trattativa” nel corso del processo a carico del generale Mori sulla mancata cattura del boss Provenzano all'inizio degli anni Novanta. Le richieste Sull'atto con il quale i pm palermitani - Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Lia Sava - puntano a riscrivere la storia d'Italia, però, grava l'ombra della contrarietà del capo della procura, Francesco Messineo. Come già accaduto a giugno in occasione della notifica dei dodici avvisi di chiusura indagine, infatti, il procuratore non ha apposto la propria firma in calce al provvedimento. Unica differenza: stavolta Messineo ha vistato l'atto di accusa di nove pagine che sintetizza i 120 faldoni frutto di oltre quattro anni di indagini. Una sottigliezza dietro cui potrebbe celarsi una non piena condivisione del capo dell'ufficio sull'operato del suo aggiunto e dei sostituti. Fatto sta che le richieste di rinvio a giudizio sono state depositate nella cancelleria dei Gip, i giudici per le indagini preliminari, in attesa di essere assegnate al giudice che fisserà la data per l'udienza. Impianto accusatorio Secondo la procura, sarebbe stato Mannino ad avviare la trattativa all'inizio del '92 per il timore di essere ucciso. Poi il “dialogo” sarebbe proseguito, tramite i contatti tra i carabinieri e Ciancimino jr, fino al 1994, quando l'interlocutore privilegiato di Cosa Nostra sarebbe diventato Dell'Utri, fresco di ingresso in Parlamento.Nei giorni scorsi la vicenda della presunta trattativa Stato-mafia ha coinvolto anche il Quirinale. Giorgio Napolitano, infatti, ha  sollevato il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale nei confronti della procura di Palermo in relazione alle conversazioni telefoniche tra lui e lo stesso Mancino. Conversazioni non trascritte perché giudicate irrilevanti. All'origine del conflitto, anche le intercettazioni dei contatti telefonici tra l'ex presidente del Senato e Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale. Nelle telefonate, Mancino si lamentava proprio del comportamento della procura nei suoi confronti chiedendo per questo una qualche forma di intervento da parte del Colle.

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