Flop su Canale 5: fa solo il 10% di share. Rileggi l'intera intervista show di Capitan Codardo: "Dieci minuti in più e li salvavo tutti"
L'intervista al comandante della Concordia non fa il pieno di ascolti. La sua difesa in tv: "Non mi hanno avvisato in tempo"
Francesco Schettino, alias Capitan Codardo, non ha fatto il botto: intervistato martedì sera a Quinta Colonna, il programma condotto su Canale 5 da Salvo Sottile, ha fatto il 10% di share. Un risultato deludente, rispetto al 17% che ottiene in media la rete ammiraglia del Biscione in prima serata. Schettino è stato battuto anche dal secondo espisodio della serie tv tedesca Last Cop - L'ultimo sbirro. Di seguito vi riproponiamo l'intervista integrale concessa da Schettino ai microfoni di Canale 5. Ha deciso di parlare dopo la fine degli arresti domiciliari, perché? «Perché prima cosa voglio metterci la faccia, perché credo sia mio preciso dovere spiegare come sono andati gli eventi e ognuno ha la sua verità, non è sicuramente la verità assoluta, ma credo sia un mio preciso dovere visto che un po' tutto il mondo è stato coinvolto in questa vicenda, credo sia un mio preciso dovere fare questo. Lo faccio come dovere morale verso il pubblico». Perché lei chiede di essere avvisato per andare in plancia al momento dell'arrivo vicino al Giglio? «Se il maître mi chiede: “comandante passiamo da li…” è normale dire: “vengo pure io”, suoniamo tre fischi di saluto all'isola, è normale che il comandante presenzi». C'era anche Domnica Cemortan? «La signorina stava aspettando fuori, dove sta la tenda. E aspettava la cabina libera…». Perché era in plancia? «Perché lei era una mia amica e del capo commissario, una persona che voleva fare una crociera con le sue amiche a bordo, voleva comprare un biglietto in Russia, disse che nelle agenzie russe non era riuscita a trovare un posto sulla nave e quindi la aiutammo a trovare regolarmente una cabina e un regolare biglietto di viaggio». Lei è stata descritta come qualcosa di più di un'amica. «È sicuramente una persona socievole, simpatica e un po' amica di tutti, non necessariamente doveva essere qualcosa di più». Quella sera era a cena con lei? «È stata a cena con me, è stata assieme anche al capo commissario perché, alla fine, ci sono delle persone con cui vale la pena farsi due risate…». Si è detto che il saluto al Giglio fosse una manovra fatta per dimostrare agli occhi di questa ragazza le sue doti. «L'inchino era stato fatto per il maître». Passiamo il più vicino possibile. Questo lei avrebbe detto. «Io non volevo sfidare nessuno, abbiamo programmato una navigazione a mezzo miglio e basta, quindi mezzo miglio per me era una distanza accettabile per fare un saluto. C'è differenza tra un inchino e un passaggio, quello doveva essere un passaggio ravvicinato all'isola, perché in caso di inchino noi generalmente, si riduce la velocità, si va a distanza ravvicinata, si scelgono le carte giuste per fare l'inchino ad una certa distanza dalla terra. Se fosse stato programmato un vero inchino, non sarebbe successo niente». Sente di chiedere scusa? «Sicuramente io non posso essere felice per quello che è successo. Il mio cordoglio va alle persone che non ci sono più. Il danno economico sicuramente c'è: i danni sono per le perdite, per le persone che sono state colpite nei loro affetti e per l'azienda e per il comandante della nave che poi è stato vittima. La perdita della nave per un comandante è qualcosa… non esiste un metro di dolore». Le scuse? «Certamente, perché io non pensavo mai potesse accadere una cosa del genere, va al di là di ogni intenzione di voler fare qualcosa del genere. Normale che io debba chiedere scusa». Cosa vuole dire della morte della piccola Daiana Arlotti? «Preferirei evitare non vorrei parlarne… Questa è una domanda che mi distrugge». Perché? «Lasciamo stare dai…». Ma questa nave, lei, la lascia? «Fino adesso su questa faccenda ci si è sciato dentro, si è fatto tanto intrattenimento a discapito dell'informazione. Io sono sceso dal ponte 8, quella nave si stava palesemente inclinando, praticamente ho visto la lancia che stava sotto il cancello d'imbarco dove ho fatto una scelta. Non potevo rimanere sulla nave perché il legno era ormai scivoloso perché creando un piano inclinato 50-55 gradi, sono stato praticamente favorito ad andare sulla lancia, non so se sono scivolato o se sono caduto, se la nave si è spostata...». È caduto? «Mi mancava il suolo sotto i piedi, come una scossa di terremoto, cade il solaio e lei cosa fa? Cade col solaio…». Lei arriva sullo scoglio. Dicono che guarda la nave che affonda. «Io avrei voluto sorreggerla con le mani, onestamente, però non mi è stato possibile. Ho preso il cellulare e chiamato i soccorsi». Suoi ufficiali si sono buttati in acqua e altri hanno provato a raccogliere i passeggeri che erano in acqua tra la nave e lo scoglio. Lei non ha avuto la tentazione di ributtarsi in acqua e dare una mano ai passeggeri? «In 5 o 6 venivano verso lo scoglio, non ho visto persone che stavano affogando». Quando capisce che ci sono vittime? «Mi sembra... il comandante della Capitaneria De Falco, mi disse: “Ci sono già delle vittime, ma non so se era un dato esatto se realmente ci fossero delle vittime. Speravo non fosse vero, poteva essere anche una persona che era svenuta». Perché non sale a bordo quando De Falco glielo ordina? «Lui ha richiamato un dovere senza capire che non poteva essere fatto. Dovevo fare 300 metri a nuoto, buttarmi in acqua, fare il giro della prora, vedere la biscaggina, col cellulare da preservare, dovevo parlare con l'unità di crisi: facevo una cosa molto più seria. Alla fine ho chiamato gli elicotteri, li ho tenuti informati di tutto». Altri ufficiali sono sbarcati alle 5 e 40 del mattino. «Quella è stata una condizione per proteggersi. Io, se avessi voluto proteggere me stesso, mi sarei messo sul lato di sinistro sicuro che la nave non affondava e stavo lì. Codardo è chi in una situazione di pericolo, cerca di trarne vantaggio. Se avessi saputo che la telefonata di De Falco sarebbe stata resa pubblica, il tono della conversazione sarebbe stato diverso. Avrei dato stile a tutta la mia napoletaneità e gli avrei fatto capire un pochettino chi era quel comandante: Francesco Schettino. Io, alla fine, sono riuscito ad evitare l'impatto frontale». Disegni ciò che è accaduto. «Qua ci sta lo scoglio, qua ci sta l'altro più esterno. La nave doveva fare così... Invece ho fatto così... La fatalità ha trovato breccia nell'interagire tra esseri umani. Si è creato un malinteso. È come se tutte le teste, compresi gli strumenti, fossero andati in black-out. Qualcuno doveva dire: “Ma che stiamo combinando?”. Mi faccio la colpa di essere stato distratto, ma qualcuno doveva dirmi che la distanza doveva essere riportata, perché chiunque osservi al radar una situazione di eccessiva vicinanza deve farlo presente». E l'allarme dato tardi? «Dare un allarme dopo un urto senza capire l'entità del danno è da pazzi. A cuor leggero non si possono mettere 4000 passeggeri in mare. Per far evacuare la nave l'avrei dovuta fermare. Sarebbe stata un'imprudenza far fermare la nave per mettere a mare le scialuppe, in un fondale di 100 metri dove la nave sarebbe poi affondata. Se si ribaltava lì non so quante vittime ci sarebbero state». A Costa Crociere dice subito “Ho fatto un casino”. Perché alla capitaneria dite, nella prima comunicazione, che avete avuto solo un black-out e non l'urto? «Stavamo valutando le condizioni della nave». Lei sapeva già dello squarcio. «All'inizio c'è stata la comunicazione di black-out perché volevo richiedere un rimorchiatore. Non volevo iniziare a dire “Abbiamo preso uno scoglio, stiamo andando a fondo”: la gente si sarebbe buttata in acqua. Quello è stato un modo di proteggere le persone. La mia perplessità inizia quando Iaccarino inizia a dire: “Sta traboccando acqua dal ponte 0”. Sarebbe stato più importante avere prima quell'informazione». Se lei avesse saputo “acqua a ponte 0” cosa avrebbe fatto? «Avrei fatto evacuare subito». Si era reso conto del panico già scoppiato a bordo? «In effetti gran parte del lavoro loro lo avevano già fatto da sé. Quando abbiamo ordinato l'abbandono nave le lance sono state subito riempite e già tutti erano lì. Poi la nave ha iniziato a inclinarsi velocemente. Il problema non era allertarli ma calmarli. Non esiste un naufragio perfetto: sicuramente se avessimo avuto a disposizione 5 minuti in più, 10 minuti in più, non ci sarebbero state vittime». In che senso? Cosa sarebbe cambiato se la nave si fosse ribaltata 10 minuti dopo? «Si, alla fine c'erano 50 persone, come più o meno si era stimato. Basta pensare che in una scialuppa se ne mettono 150, quindi…». Le leggo alcune dichiarazioni che hanno rilasciato i suoi ufficiali a verbale. Martino Pellegrini, il responsabile della sicurezza ha detto: “Lo stato d'animo del comandante mi è sembrato alterato, andava a peggiorare, gli tremava la voce”. Iaccarino: “Schettino era era in stato di choc”. «Questo è stato il loro livello di percezione. Quello che a me sorprende sono queste dichiarazioni, che contrastano con quello che è la verità poi emersa dalla scatola nera».