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Gli italiani di cui andar fieriTutti quanti morti e sepolti

Una raccolta di lettere dei grandi dell'Ottocento come antidoto alla barbarie di oggi

Eliana Giusto
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Da capo politico dell'Austria della prima metà dell'Ottocento, il cancelliere Klemens von Metternich fece e disfece la politica europea del suo tempo. Ditemi voi se sì o no, se in questo maledetto 2012, in l'Italia sembra andare a picco, non provate un sobbalzo di gioia e di orgoglio a leggere quello che lui scriveva a proposito di un italiano suo contemporaneo: «Ebbi a lottare contro il più grande dei soldati [Napoleone], giunsi a mettere fra loro imperatori e re, uno Zar, un Sultano, un Papa, principati e repubbliche; avviluppai e sciolsi venti volte intrighi di corte: ma nessuno mai mi diede maggiori fastidi al mondo di un piccolo brigante italiano, magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticato come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini».  Spread dell'orgoglio - Ditemi voi se sì o no, se abbiamo bisogno di riandare con la memoria agli italiani di genio e di qualità, agli scrittori e agli artisti che avevano creato l'identità italiana nei secoli, agli eroi che avevano pagato con anni di carcere il loro ideale di una nazione più libera e moderna. Perché se ci fosse un barometro a indicare l'orgoglio che un Paese ha di sé, la fiducia nelle sue istituzioni e nel suo destino, la forza di una morale che sia condivisa dalle classi e dalle generazioni, allora ne verrebbe fuori che lo spread tra l'Italia e le nazioni europee di pari lignaggio (dalla Germania all'Inghilterra) è molto più avvilente che non lo spread tra il costo dei titoli emessi dall'Italia e quelli emessi dalla Germania.  Uno spread avvilente, né potrebbe essere diversamente in un Paese che nella sua vetrina massmediatica offre ai primissimi posti Nicole Minetti e le feste di cui la accusano essere stata protagonista nella residenza di Silvio Berlusconi, conteggiatori truffaldini dei soldi dei partiti quali Luigi Lusi e Francesco Belsito, un Parlamento in cui gli indagati sono a mucchi, un Fabrizio Corona che più condanne becca e più frequentemente appare sulle copertine destinate al pubblico popolare (il quale più manigoldi sono e più li ama), o magari un guru venuto ad annunciare i «domani che cantano» a forza di «vaffanculo». Vedi l'Italia del 2012 e poi muori.  Ecco perché dobbiamo esser grati al Detfel Holz (un nome di penna, non sappiamo chi sia) che ha appena congedato per i tipi dell'editore torinese Aragno un libro sobrio e raffinato (Uomini italiani, pp. 176, euro 12), dov'è accuratissima la ricerca di lettere, cimeli, episodi riguardanti la vita di italiani bella gente, Mazzini e il conte Camillo Benso di Cavour, Alessandro Manzoni e lo scultore Antonio Canova, Giacomo Leopardi e Luigi Settembrini, i milanesi fratelli Verri e Ugo Foscolo.  Il nostro Holz che non è affatto Holz si ferma lì, all'ultimo Ottocento, il secolo che ha l'aria di conoscere ora per ora, protagonista per protagonista, e di cui non c'è libro raro o in edizione limitata che lui non abbia avuto tra le mani e studiato.  Lista da estendere - E laddove io, che sono un figlio del Novecento, in quell'elenco di italiani meritori avrei incluso il Renato Serra che sarebbe divenuto il più grande critico letterario italiano se non fosse andato a morire sulle trincee della Prima guerra mondiale, il professor Luigi Einaudi poi divenuto presidente della Repubblica, il fascista di sinistra Berto Ricci che fece a cazzotti con le ottusità del regime per poi andare a morire volontario in Africa, il partigiano liberale Willy Jervis e quella sua ultima lettera prima di essere fucilato dai nazisti, l'architetto e designer torinese Carlo Mollino.  Tutti italiani, ognuno dei quali ci farebbe andare a testa alta sempre e ovunque. E a non dire che l'elegante libro edito da Aragno è il ricalco di un famoso e drammatico libro in lingua tedesca del 1936, Uomini tedeschi (tradotto in Italia da Adelphi nel 1979), apparso in Svizzera anch'esso sotto lo pseudonimo Detlef Holz. Lo aveva congegnato e scritto un personaggio cruciale della cultura europea del Novecento, l'ebreo tedesco Walter Benjamin, uno che era fuggito via dalla Germania nazi e che per lunghi anni visse stentatamente a Parigi, da dove tentò di fuggire all'arrivo dei tedeschi. Non avendo un visto di uscita dalla Francia, venne bloccato al confine con la Spagna. Alla sera tarda del 26 settembre 1940 Benjamin estrae da un suo borsone da cui non si separava mai 32 capsule di morfina e le ingoia. Epistole vs Twitter - Il libro di Holz-Benjamin del 1936 stava alla Germania del suo tempo esattamente come il libro dell'Holz italiano sta all'Italia del 2012. Benjamin voleva mostrare le tracce e i cimeli di una Germania profondamente all'opposto della Germania nazi. Portava le prove provate dell'esistenza e dell'onore intellettuale di quella Germania, da Kant a Goethe, dall'illuminista Georg Christoph Lichtenberg al pedagogo Johann Heinrich Pestalozzi, dallo stesso von Metternich al drammaturgo Georg Büchner. Mutato quel tanto che è da mutare, l'Holz italiano racconta uomini e destini italiani che vanno all'opposto della volgarità e della barbarie dell'Italia presente. L'uno e l'altro sono forse dei nostalgici di un tempo che non ci sarà più, a partire dalle tante lettere che loro pubblicano, e oggi al posto di quelle lettere (lunghe pagine e pagine) ci sono i messaggi via Twitter e gli sms. Peggio per noi. di Giampiero Mughini

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