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Mohamad e Khumarrichiamati in azienda nonostante la paura

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Lucia Esposito
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«In nome di Allah: il Clemente, il Misericordioso..». È una giaculatoria, un salmo, una preghiera sussurrata eppure rompe con un salmodiare doloroso il grido delle sirene, la frenesia di soccorsi efficienti e nervosi. Sono una cinquantina lì sul prato della Meta nella zona industriale di San Felice Sul Panaro. Arrivano dal Magreb, dal Pakistan, dall'India.  Sono le braccia - solo i palestinesi sono 15mila - del distretto della meccanica e ora piangono di dolore e di rabbia e pregano con dolore e rabbia davanti a quel che resta di quei capannoni bianchi che si erano salvati dalle prime scosse domenica - tanto che erano stati dichiarati agibili - ma ieri sono venuti giù. Sembrano coriandoli dispersi da un immenso tifone.  Sotto quelle macerie sono rimasti due operai Mohamad Azaar, marocchino e Khumar Pawan che era arrivato qui dal Punjab, una delle terre più povere dell'India, cinque anni fa. Mohamad aveva 35 anni e due bambini piccoli e a San Felice si era integrato. Lavorava ai rulli, l'ingranaggio della vita si è inceppato per lui alle 9.05 di un mattino in una terra lontana dal suo Marocco. Mohamad è descritto dai suoi compagni come un gran lavoratore, un ragazzo anche impegnato a difendere i suoi compagni, ma ormai abituato a vivere all'occidentale, come quasi tutti gli immigrati nordafricani di queste comunità.  Khumar di anni ne aveva 31, e anche lui aveva due creature; un bambino di due anni e una bimba di appena otto mesi. Lo piange la giovanissima moglie, in un pianto mesto e singhiozzato. Non una parola, sono desolazione. Per lei - ma forse per tutti questi operai che il modello emiliano pensa di avere integrato ma che il dolore riporta immediatamente lontano - parla Singh Jetrindra, il rappresentante della comunità degli immigrati del Punjab. «Khumar non voleva lavorare oggi (ieri per chi legge, ndr), i capannoni sono vecchi ma il padrone ha detto che la produzione doveva riprendere e lui non poteva permettersi di perdere il lavoro». Una voce di protesta che percorre altre fabbriche. Dalle macerie della Meta a San Felice sul Panaro hanno estratto anche il corpo dell'ingegnere, Gianni Bignardi (62 anni), che era stato inviato a fare i sopralluoghi per la staticità dell'edificio. Ma l'elenco degli operai morti si è allungato di ora ora. Tre a Cavezzo, due sono donne, al Mobilificio Malavasi, tre a Medolla dove alla Hemotrtonic è rimasto sotto le macerie Paolo Siclari di 37 anni pendolare dal rovigino che lascia due figlie, due alla Bbg di San Giacomo di Roncole dove è morto anche il titolare della fabbrica, Eddi Borghi e Vincenzo Grilli di 39 anni. E ancora si cerca nelle altre fabbriche tra le macerie. Il numero dei dispersi sale di ora in ora e si teme per la sorte di altri lavoratori. di Matteo Cambi

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