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L'incredibile caso dell'assessore all'Immigrazione Paradiso, che ha torturato un romeno arrivato in Italia per raccogliere pomodori

Giulio Bucchi
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di Filippo Facci Nella vita di un commentatore ci sono dei momenti difficili, perché a certe notizie non sai che chiave dare. Seriosa-sociologica? Becera-spiritosa? Antipolitica? Boh. Comunque la notizia è la seguente. C'è un paese, tra Basilicata e Puglia, che si chiama Palazzo San Gervasio e che in questo periodo si riempie di immigrati stagionali che raccolgono pomodori. Un classico. Un tizio di questo paese, in agosto, è stato derubato di una macchina agricola sicché ha cominciato a indagare sino a individuare il presunto autore del furto, un immigrato romeno. Però non l'ha denunciato: ha fatto da solo. Ha avvicinato l'immigrato, l'ha costretto a salire su un'auto e l'ha portato in un capannone isolato. Qui l'ha torturato: prima con una spranga di ferro, poi gli ha messo una catena attorno al collo e l'ha alzato con una carrucola quasi impiccandolo, facendogli solo sfiorare il terreno coi piedi. L'immigrato non ha confessato ed finito all'ospedale. Epilogo: i carabinieri hanno beccato il torturatore e, ieri, l'hanno arrestato. E chi è? E' un politico. Non basta: è un assessore. Non basta: è l'assessore all'immigrazione. Sì. Non basta: è di sinistra. Non basta: in quel paesino che per molti immigrati è un punto d'arrivo, un eden raggiunto dopo lunghi viaggi, il cognome dell'assessore all'immigrazione è Paradiso.

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