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Blitz di Napolitano, la democrazia è sospesa e non si andrà a votare

Altro che dimissioni. Il Capo dello Stato resta fino a fine mandato e intanto decide programma e coalizione di un governo Pd-Pdl-Scelta civica

Giulio Bucchi
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  di Fausto Carioti Giorgio Napolitano ha risposto alle paure dei mercati e delle cancellerie internazionali sull'instabilità politica italiana con una mossa senza precedenti. Ieri all'ora di pranzo, quando tanti si aspettavano che desse le dimissioni per accelerare l'elezione del proprio successore e rendere così possibili nuove elezioni nel mese di giugno, il presidente della Repubblica ha annunciato al Paese che intende fare l'esatto contrario: non solo ha assicurato che eserciterà il proprio mandato «sino all'ultimo giorno», ma ha accentrato tutti i poteri sul Quirinale. Lo ha fatto anche chiamando attorno a sé dieci «personalità tra loro diverse per collocazione e per competenze» pescate non dalla mitica società civile, ma dai partiti che vuole mettere insieme nella maggioranza di governo:  Pd, Pdl e montiani. Più brutale di così, la sconfessione della linea Bersani non poteva essere. Una mossa dalla quale derivano conseguenze importanti per tutti gli attori della scena politica: dallo stesso segretario del Pd, costretto ad assistere a bordo campo, sino a Silvio Berlusconi, chiamato a reprimere la voglia di elezioni che cova da quando ha visto che ormai tutti i sondaggi dicono che la coalizione di centrodestra è pronta a fare bottino pieno alla Camera.  Spiazzato anche Mario Monti. Tre giorni fa il premier aveva detto in Parlamento che il suo governo «non vede l'ora di venire sollevato dall'incarico». Lo stesso Napolitano, nelle conversazioni private, non fa mistero di essere più che deluso dall'esecutivo dei Professori. Eppure al Capo dello Stato ieri è bastata una frase per resuscitarlo: «Un elemento di concreta certezza nell'attuale situazione del nostro Paese è rappresentato dalla operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento». Incredulo, Monti ha reagito annunciando al volo il varo di un pacchetto di provvedimenti economici che aveva già rinchiuso nel faldone da trasmettere al suo successore: è un governo-zombie, però cammina. Una scelta di assoluto ripiego per Napolitano, che l'ha adottata solo perché convinto che lasciare Monti in sella rappresenti il male minore. Di sicuro meglio che consentire a Bersani di presentare alle Camere il proprio governicchio di minoranza. Il gesto di Napolitano consegna anche le prime certezze del dopo voto, o qualcosa di molto simile. La prima è che non si tornerà a nuove elezioni a giugno, come pareva invece molto probabile. Perché ciò fosse possibile era necessario che Napolitano si dimettesse in anticipo. Invece ha assicurato che rimarrà in carica sino alla mezzanotte del 14 maggio. Impensabile che il suo successore compia come primo atto proprio lo scioglimento delle Camere senza nemmeno volersi guardare attorno o fare un giro di consultazioni. Se si tornerà a votare nel 2013, dunque, avverrà dopo l'estate. Questo spiega sia le malcelate perplessità di alcuni berlusconiani dinanzi all'annuncio di ieri, sia il sollievo con cui hanno reagito invece i vertici della Lega, riluttanti a tornare al voto in tempi brevi. Molto probabile che a questo punto il futuro presidente del Consiglio sia scelto non dall'attuale, ma dal prossimo presidente della Repubblica. Con la nomina dei due «gruppi ristretti», uno per le riforme istituzionali e l'altro per le riforme economiche, Napolitano ieri ha avviato un percorso destinato a concludersi in tempi non brevissimi. E l'iter per l'elezione del prossimo Capo dello Stato inizierà il 15 aprile, con la convocazione in seduta comune del Parlamento e dei delegati regionali. Napolitano resterà comunque nel pieno dei propri poteri (ad eccezione dello scioglimento delle Camere, ovviamente), ma è difficile pensare che a quel punto intenda sfilare la scelta del nome a chi verrà dopo di lui. Nel frattempo si potrà andare avanti col governo Monti, non a caso «confermato» nel modo che si è visto. La decisione di ieri ipoteca anche - e non poco - le caratteristiche e il programma dell'esecutivo che verrà. Napolitano ha scelto i componenti dei due gruppi pescando in particolare tra parlamentari e tecnici legati a Pd, Pdl e lista Monti. Ai quali, ormai è chiarissimo, chiede di formare il prossimo governo. Che si troverà un programma già scritto dai saggi di Napolitano, difficile da ignorare.  Agli stessi partiti pensa quando invoca «un'ampia intesa tra le forze politiche» per l'elezione del futuro Capo dello Stato. A questo proposito, il fine di Napolitano sarà stato sicuramente un altro, ma è indubbio che dopo avere disegnato i prossimi sviluppi del Paese e indicato chi dovrà farsene carico, Napolitano sia il candidato numero uno a succedere a se stesso. Lui, o in alternativa qualcuno in grado di tenere insieme i tre partiti in questione, che potrebbe essere un Franco Marini o un Giuliano Amato: un presidente della Repubblica figlio dell'accordo tra Pd e grillini, come potrebbero essere Romano Prodi o Stefano Rodotà, è incompatibile con la strada tracciata ieri sul Colle. Avere evitato l'elezione anticipata del Capo dello Stato, avviando anzi un percorso comune tra Pd, Pdl e Scelta Civica, dovrà servire proprio a svelenire il clima, emarginare le posizioni più oltranziste, costringere le tre forze, nelle prossime settimane, a concentrarsi su ciò che le unisce. Più di tanto, per il governissimo, Napolitano non poteva fare (almeno in questo suo primo mandato).  

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