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Oggi Al Qaeda ha il braccio politicoUna svolta: tutto grazie a Obama

La vera, preoccupante novità di questi giorni: l'alleanza tra il movimento salafita e i terroristi. Un binomio che fa paura anche ai governi arabi

Andrea Tempestini
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di Carlo Panella «Ascolta Obama, noi siamo tutti Osama»: urlato con ritmi ossessivi nei cortei che hanno dato l'assalto alle ambasciate Usa a Tunisi,  Khartoum, Cairo, Amman, Bengasi, Tripoli del Libano, Sanaa, questo slogan segnala una  svolta clamorosa nella vicenda del terrorismo islamico. Non è la prima volta che immagini di Osama bin Laden vengono ostentate durante cortei, ma è la prima volta che ovunque, platealmente, pubblicamente, la mobilitazione dei salafiti, i fondamentalisti islamici radicali (in rotta persino con i Fratelli Musulmani) si salda con al Qaeda, rivendicando la sua piena contiguità ideologica e di azione.  Questa è la tragica novità dell'11 settembre del 2012, che si è concretizzata a Bengasi, con l'inedita sinergia tra una manifestazione di massa  e l'azione di un commando di 100 terroristi che hanno occupato l'ambasciata Usa e ucciso l'ambasciatore Chris Stevens. Dunque,  come è sempre più evidente la fredda preparazione dell'azione congiunta tra manifestanti e l'azione del commando terrorista di Bengasi, è anche sempre più palese l'azione di una cabina di regia unitaria della rete dei salafiti, che  dimostra di essere in grado di mobilitare grandi cortei in contemporanea ovunque nel mondo arabo (ad eccezione, e non è un caso, ci pensino gli avversari di George W. Bush e della sua strategia, di Baghdad e dell'Iraq).  Gli otto morti di venerdì scorso, non sono dunque il frutto di un casuale effetto domino, della spontanea reazione all'idiota film contro Maometto postato su YouTube da un demenziale gruppo di cristiano-copti di Los Angeles, ma di una riuscita prova generale di coordinamento della Internazionale salafita, in rivendicato, esplicito appoggio ad una al Qaida e a gruppi terroristi vari che vengono vissuti come proprio «braccio armato». Il tutto, la Storia fa di questi scherzi,  grazie agli enormi spazi di libertà che si sono aperti all'azione dei salafiti con la caduta dei regimi autoritari arabi. La stessa cauta reazione delle forze di sicurezza dei governi arabi «democratici», che hanno aperto il fuoco (ma non a Bengasi) solo per evitare la conquista manu militari delle ambasciate Usa, dimostra che questi hanno ben chiaro di trovarsi di fronte a un movimento eversivo che ha alle spalle un forte consenso, una consistente simpatia ed empatia in ampi strati della popolazione, come peraltro dimostra il successo alle elezioni dei partiti salafiti, in aperta concorrenza con i Fratelli Musulmani.  Il disastro è che questo nuovo scenario non solo vede i nuovi governi arabi «democratici» del tutto incapaci di un contrasto politico efficace (si limitano, in extremis, ad una dura repressione), ma anche di una totale incapacità di Usa e Europa persino di comprendere questo nuovo scenario salafita-qaidista. D'altronde, anche se cogliessero questa novità, la base dottrinale del rapporto dialogante con l'Islam degli Usa di Barack Obama, e la confusa ignavia di un'Europa catalettica, non permetterebbero di enucleare una risposta politica. È infatti evidente che con questo crescente movimento salafita-qaedista, non è possibile dialogo, confronto, mediazione. Pure, l'Occidente avrebbe una fortissima arma di pressione. Il presidente egiziano Morsi è venuto in Italia e in Europa a chieder aiuti economici per un Egitto ormai sulle soglie del fallimento. Simile è la situazione in Tunisia e Yemen, mentre la Libia si salva solo grazie ai contratti petroliferi senza condizione stipulati con Europa e Usa.  Basterebbe vincolare tutti gli aiuti e i contratti petroliferi con i nuovi governi arabi a una seria politica di contrasto del movimento salafita-qaidista, e le pavidità dei nuovi leader arabi «democratici» sarebbero costrette subito a trasformarsi in coraggio. Ma per un'azione simile ci vuole lungimiranza e coraggio. Doti che ha in pieno solo papa Ratzinger, che ha pronunciato durissime parole non solo contro i terroristi, ma proprio contro il fondamentalismo dei salafiti nel suo coraggioso viaggi in Libano. Doti che l'Occidente ha deciso di non praticare, quando si rapporta col mondo dell'islam.

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