Brutta, vecchia e inchiodata La scuola è lo specchio del Paese
Si spende troppo e male. L'era digitale è illusione: i libri battono ancora pc e tablet
Venite a scuola, per capire perché l'Italia è inchiodata e non riesce a muoversi. Entrate in segreteria o nelle classi, e toccherete con mano cosa la tiene ferma: non sono le forze oscure della reazione in agguato, e neanche i potenti interessi delle lobbies, è il non credere si possa cambiare, la paura, la pigrizia, l'assenza di direttive chiare e inderogabili, le iperboli ministeriali che non diventano realtà. A scuola, come in molti altri posti, si registra il trionfo dell'Italia burocratica su quella che ha voglia di crescere. Sono anni che si parla di scuola digitale, però si va indietro anziché avanti. Si lamenta l'assenza di soldi, ma il problema è che se ne spendono troppi. Male. Da tre anni è già disponibile, per tutti gli studenti, le famiglie e le scuole il servizio d'interazione digitale. Valeva per le assenze, come per le comunicazioni, le pagelle, i programmi e via discorrendo. Era anche gratis, nel senso che s'era fatto un accordo coi gestori telefonici, in modo da non far pagare né famiglie né scuole. Solo che non lo si rese obbligatorio (come si fece con le dichiarazioni dei redditi). Il governo di allora (Berlusconi) accettò, sbagliando, di far convivere il digitale con l'analogico. Risultato: la risacca porta via anche il buono che c'era e si ricomincia sempre da zero. Senza memoria. Neanche ci si è liberati dei libri di testo. Ogni anno ne compriamo un quintale (e chi scrive ama i libri, ma quelli veri, non i manuali o le raccolte d'esercizi che cambian numero per giustificare la diversa edizione). Quest'anno le famiglie spenderanno un centinaio di euro in più rispetto all'anno scorso, come se i soldi abbondassero. Con quei quattrini si potrebbe tranquillamente dotare ogni studente di un computer e dei testi (sempre esternalizzando), senza differenze di reddito e classe sociale. Ora la digitalizzazione è inserita nella spending review e nelle varie «agende», ma la cruna dell'ago resta vergine: la si smetta di considerare tutto «sperimentale», perché non c'è niente da sperimentare: si passi all'obbligo. Fuori da questo c'è solo il parolaismo inconcludente, sicché prende corpo l'abominio di un Paese che dovrebbe essere eccellente nella cultura e invece affoga nel rivendicazionismo. Alla fine produciamo meno laureati degli altri paesi Ocse. Venite a scuola e guardate in faccia quel che ci affonda. Poi facciamo pure gli auguri ai nostri figli che, in questi giorni, tornano a scuola. Studiate, non accontentatevi. Protestate.