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Pressione fiscale al 55%: ecco la civiltà di Monti

Il premier: "Guerra di civiltà contro gli evasori fiscali". Giusto, ma tra debiti con le imprese, imposte, accise e ingiustizie è lo Stato ad essere nemico degli italiani

Giulio Bucchi
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  Una "guerra di civiltà", l'ha definita Mario Monti. La battaglia contro gli evasori fiscali è una delle priorità del governo, forse perché se vinta porterebbe nelle casse (vuote) dello stato cifre mai viste. Basta considerare che l'economia sommersa nel nostro paese è stata calcolata in 418 miliardi di euro mentre la fuga dal fisco equivarrebbe a un tesoretto monstre di 181 miliardi. Sei manovre corpose, per intenderci. Logico che occorra usare ogni arma possibile, compreso, per esempio, un sistema di "identikit" dell'evasore messo a punto dal Ministero delle Finanze. "Non chiamateli più furbetti", aveva tuonato dal palco del meeting di Cl il professore, ammonendo i tg Rai a cambiare registro. I fenomeni di evasione fiscale, ha ricordato alla Fiera del Levante Monti, "minano alla radice la fiducia di ciascuno verso il vicino e il lontano". Giusto anche questo.  Le colpe dello Stato - Ma c'è un però. Pressione fiscale reale al 55%, debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese di 90 miliardi (e nel frattempo di aziende ne sono morte 146mila nel solo primo trimestre del 2012), bollette energetiche sempre più care (gli imprenditori italiani pagano l'elettricità 10 miliardi in più rispetto ai concorrenti dell'Unione europea), prezzi dei trasporti alle stelle (da quelli pubblici, treni e tram, alla benzina schizzata oltre 2 euro col 60% dovuto a tasse, Iva e accise), Iva al 21% con effetti recessivi e impatto devastante sul costo della vita, nuove tasse come l'Imu su prima e seconda casa (e magari con il barbatrucco di una rivalutazione del mattone per aumentare l'imponibile), inasprimento di Irpef e Tarsu, imposte sul fumo, riforma durissima delle pensioni con autentica truffa per gli esodati (che secondo l'Inps sarebbero 390mila). Tutti elementi, sintetizzati in poche righe, che avvalorano un'altra tesi: lo Stato, di cui il governo Monti è da 9 mesi mente e braccio, sta facendo di tutto per minare alla radice la fiducia di ciascun cittadino e contribuente nei confronti non del vicino e del lontano, ma dello Stato stesso.   Fiducia spezzata - Il problema di quanto lo Stato chiede e di quanto dà in cambio è nodo fondamentale nei rapporti con il cittadino. Eppure per Monti e i professori sembra rappresentare un dettaglio, una sfumatura nel grande processo di rivoluzione "etica" del sistema Nazione. Persino il numero uno dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera ha ammesso che bisogna "cambiare il fisco, semplificare le regole", renderlo in altre parole più umano. Anche perché il rischio è quello di creare una generazione (quella futura, oltre ad ampie fasce di quelle presenti) scettica nei confronti della Pubblica amministrazione se non addirittura ostile a Equitalia ed Erario, anti-tasse per cultura e per spirito di sopravvivenza. Quaranta e passa suicidi di imprenditori, artigiani e dipendenti in questa prima metà di 2012, duemila persone che nello stesso periodo sono ricorse a gruppi di sostegno, ascolto e supporto psicologico contro la crisi, un livello di disoccupazione al 10,5% (mai così male dal 1999) con un giovane su tre senza lavoro. E' da questi numeri, non dai proclami, che bisogna partire per tracciare lo stato di salute dell'Italia attuale. Un'Italia per molti versi incivile, che non ha bisogno di guerre di civiltà ma di maggiore equità. Monti a Bari ha preferito rivaleggiare con l'amico Mario Draghi, ha rivendicato l'importanza dei sacrifici imposti, si è di fatto autoproclamato salvatore d'Italia e d'Europa. L'Italia e l'Europa forse si salveranno, spread permettendo. Il prezzo sarà quello di aver perso la fiducia di molti italiani.  

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