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Berlusconi e Dell'Utri, assedio dei pm. Il Cav: "Hanno la lupara contro di me"

Le toghe di Palermo tornano sul senatore e Mangano. Berlusconi: "Pomeriggio allucinante"

Giulio Bucchi
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di Salvatore Dama Ovvio che, dopo tre ore di interrogatorio con i pm di Palermo, Silvio Berlusconi non avesse tanta voglia di lanciarsi in discussioni approfondite sui possibili modelli di nuova legge elettorale. Sicché il vertice di ieri sera con i dirigenti del Pdl è stato piuttosto interlocutorio. Poche certezze su cosa sarà dopo il Porcellum, ancora tentennamenti sulla candidatura del Cavaliere.  Niente male questa prima giornata di lavoro dopo le ferie. Che rientro, per Silvio. Subisce una inattesa accelerata la pratica “Palermo”. Dove Marcello Dell'Utri è indagato per presunta estorsione. E dove Berlusconi era atteso per essere ascoltato come persona informata dei fatti. L'ex premier si era reso indisponibile a un primo appuntamento, poi ha eccepito attraverso i suoi legali la competenza della procura di Palermo. Eccezioni respinte dai pm che hanno dato dieci giorni di tempo al Cavaliere per farsi ascoltare. Termine che scadeva ieri. Nelle ultime ore è stata avviata una trattativa tra Ghedini e il procuratore capo Messineo per ascoltare Berlusconi a Roma. Cosa che è accaduta, in una caserma della Guardia di Finanza. In trasferta c'erano i pm Ingroia e Sava, non i titolari dell'inchiesta Di Matteo e Del Bene. Le due toghe avrebbero rifiutato questa cortesia istituzionale verso l'ex presidente del Consiglio. «Berlusconi ha chiarito tutti gli aspetti della vicenda», informa una nota degli avvocati del Cavaliere. I pm erano interessati a capire perché in dieci anni Silvio ha versato 40 milioni di euro a Dell'Utri. Non solo: hanno voluto sapere anche dei rapporti con l'ex stalliere di Arcore Vittorio Mangano e col mafioso Tanino Cinà.  «Persone insospettabili», si è difeso il Cavaliere. Che ha escluso categoricamente di aver subito estorsioni da Dell'Utri, «un amico e un collaboratore prezioso».  Dalla procura c'è riserbo. Tuttavia il rischio che Silvio passi da “persona informata dei fatti” a “indagato” non è  lunare.  È certo che Berlusconi è andato via ripromettendosi di ordinare ai suoi l'avanti tutta sulla responsabilità civile dei giudici. Troppe volte l'hanno tirato in mezzo in storie in cui non c'entrava nulla. «E chi ha pagato? Non loro. Solo io, la mia immagine internazionale». Dell'«allucinante» pomeriggio trascorso in caserma, Silvio si è lamentato a cena con i suoi: «Questi davvero pensano che vado in giro con la coppola e la lupara...».  Ma il piatto forte del vertice era un altro. Il solito: la legge elettorale. Berlusconi è tornato a ribadire la doppiezza della strategia di Bersani, invitando a non fidarsi: «Dicono che vogliono cambiare la legge, ma in realtà si tengono stretti il Porcellum». Già, ma come farli venire allo scoperto? Ieri sera, a Palazzo Grazioli, è stata valutata l'idea del blitz. Pdl e Lega, che hanno ancora la maggioranza assoluta al Senato, potrebbero votare in aula il sistema tedesco (proporzionale senza premi di maggioranza). Un modo per “tentare” Casini e per  prendere in contropiede i democratici, che continuano a chiedere «il premio di maggioranza alla coalizione».  Ma mezzo Pdl è contrario a dire addio al bipolarismo. Gli ex An, certo.   Ma anche molti di Forza Italia, come Brunetta e Crosetto, che hanno ribadito anche  l'esigenza delle preferenze firmando un appello con Meloni, Beccalossi, Rampelli e Galati.      Va detto che l'accelerazione a Palazzo Madama sarebbe più che altro  tattica.  E risponderebbe  al pressing di Mario Monti e  al duro monito arrivato  dalla seconda carica dello Stato. Il presidente del Senato Renato Schifani ha dato un ultimatum ai partiti. Se non escono dal guado della Commissione, il testo va in Aula a prescindere dall'accordo bipartisan. E si vota a maggioranza. Appunto. 

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