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La guerra della scarpa rossache fa impazzire le donne

Louboutin vince la causa contro Yves Saint Laurent: avrà l'esclusiva sulla suola scarlatta più trendy del mondo

Matteo Legnani
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  Le scarpe di Christian Louboutin? Il sogno di tutte le donne. Lui ce le ha tutte ai piedi. Ciascuna creatura femminile ha il desiderio di possederne almeno un paio, per sentirsi - anche solo per una sera - una vera principessa. Di reale - nel senso di appartenente al regno - hanno sicuramente il costo. Ma ciò non sembra preoccupare le abbienti e abitudinarie clienti: da Victoria Beckham ad Angelina Jolie. Quasi più invidiate dalle «comuni mortali» per le scarpe che per i mariti. Ed è quanto dire. Le bene informate sanno che la celeberrima casa produttrice francese - che ha da poco ricreato la scarpetta di Cenerentola, forse per sottolineare il clima fiabesco - si distingue da ogni altra imitazione per un particolare: la suola rossa. È ciò che caratterizza gli accessori gioiello della casa di moda dal 1992. Ma proprio il dettaglio minimal trascina Louboutin in tribunale. È una guerra - solo di natura giudiziaria - tra francesi. Infatti, lo scorso aprile la Yves Saint Laurent presenta le «Trip Too»: delle scarpe dal tacco finissimo e chilometrico di colore rosso. E la suola? È sempre rossa. Da qui l'indignazione di Louboutin. Come hanno osato utilizzare il loro «marchio di fabbrica» per eccellenza? L'errore - se davvero di uno sbaglio si tratta - è imperdonabile. La YsL viene citata in giudizio. E ieri arriva la sentenza della corte americana di New York che riserva il «diritto alla suola rossa» in esclusiva per Louboutin, ma solo se le scarpe sono di un colore diverso dal rosso.  Che il marchio francese possa ritenersi soddisfatto? Non c'è da giurarci. Infatti, se il contrasto viene preservato, va un po' peggio invece per il monocromatico. A tutti è concesso di utilizzare la suola rossa per le scarpe dello stesso colore. Niente diritto di appartenenza in questo caso, dunque.  Inoltre, la corte si riserva la possibilità di inviare il caso alla corte distrettuale per maggiore provvedimenti. Una vittoria si, ma con l'amaro in bocca. di Antonella Luppoli    

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